Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
30/04/2009
UNA CHIACCHIERATA CON FRANCESCO FADDA CUOCO NELLA KEBABERIA HARISSA DI CAGLIARI.
“A volte capitano nel mio locale degli studenti erasmus che provengono dalla Turchia, dalla Grecia, a volte vengono dei turisti israeliani, e tutti ti fanno i complimenti, allora capisci che stai facendo bene il tuo lavoro”.
Sorride soddisfatto Francesco Fadda mentre ci parla di questo piccolo grande riconoscimento e ne ha ben d’onde se ad apprezzare il suo kebab sono coloro che quella cultura gastronomica la vivono come quotidianità trasmessa loro da generazioni ma riescono a rimanere a bocca aperta, o meglio ben serrata nell’atto di gustare, di fronte alla proposta di questo cagliaritano di quarantaquattro anni, da ventisei nel settore dell’enogastronomia, buona frequentazione con la cucina etnica di ambito mediterraneo.
“ Per anni ho co-gestito insieme alla mia famiglia un ristorante improntato alla cucina mediterranea (l’Arissa di Via Eleonora D’Arborea a Cagliari. ndr.), siamo stati i primi a Cagliari a proporre il kebab, lo “shis kebab” ovvero gli spiedini di carne arrosto, ma anche il panino attraverso un punto ristoro all’interno del vecchio “teatro tenda in fiera”, più noto come il Jazzino”.
Era il lontano 1992 e per Cagliari la cultura del kebab era ancora di la da venire, oggi invece esistono in città almeno una quindicina di locali dedicati specificamente alla preparazione di questa pietanza, più un numero imprecisato di altre realtà, pizzerie d’asporto e paninerie, che lo hanno inserito tra le loro proposte, il più delle volte con scarsi risultati.
Francesco ci spiega che è difficile proporre un buon prodotto se non si dedica il tempo necessario alla ricerca delle materie prime e all’aggiornamento continuo sulla scorta delle altrui esperienze, un concetto che può apparire pleonastico se non fosse che viene applicato con grande cura e passione alla preparazione di quello che in fondo è “solo”, ma non è “solo”, un panino:
“non sono mai stato nelle kebaberie medio-orientali da dove emana e si sviluppa questa cultura, eppure cerco sempre di leggere, tenermi informato, trovare spunti, sperimentare, tutto questo fa la differenza e il cliente se ne accorge”.
Una ricerca che l’ha portato a sperimentare soluzioni inedite per la fattura del panino kebab, come ad esempio l’utilizzo dell’hummus, una crema di ceci molto utilizzata nella gastronomia araba, che ben contrasta con i sapori minerali e piccanti delle verdure dando una buona profondità di gusto all’insieme del piatto.
L’esercito degli amanti di questo cibo è oramai composto da persone di ogni generazione e status sociale: lo amano i giovani e gli anziani, lo sceglie il libero professionista piuttosto che l’operaio o lo studente in pausa pranzo.
Le donne, a quanto ci dice Francesco, sembrano prediligere invece il “panino cugino” del kebab, il falafel: identica preparazione con una base diversa, in luogo del timballo di carni bianche si utilizzano delle crocchelle di ceci per realizzare un piatto vegetariano che soddisfa anche le più comuni esigenze di dieta.
Sarà a causa di questo dirompente successo che tante amministrazioni locali in Italia, vi sono i casi di Lucca e della Regione Lombardia, iniziano a proporre leggi anti-kebab, vietando l’apertura delle kebaberie nei centri storici, con l’intento dichiarato di voler proteggere una non meglio precisata identità nazionale: “a mio parere questa della protezione della nostra cultura è una bufala, innanzitutto la cultura mediterranea è parte integrante di ciò che siamo, non è altro da noi, inoltre mi pare che vi siano più che altro delle spinte da settori economici ben precisi che vedono minacciate le proprie posizioni”.
Il passaggio dalla cucina di un ristorante a quella “a vista” di una kebaberia non l’ha sconvolto, anzi: “ho scoperto quanto possa essere bello e gratificante il contatto diretto con il pubblico che ti da la possibilità di avvertire in presa diretta apprezzamenti e critiche, suggerimenti e proposte e ti permette di avere una dimensione del lavoro meno pesante”.
Critiche in realtà ne deve aver ricevute poche se la kebaberia di Via Torino è andata costruendosi in questo anno e mezzo di vita una fama che grazie al passaparola è cresciuta e porta tanti a sceglierla per consumare il panino kebab, il falafel, il kebab in vaschetta, da gustare a casa o per strada, oppure seduti sugli sgabelli del locale.
L’idea di Francesco è quella di riuscire a proporre un giorno un progetto di “fusion” tra il panino kebab e la cucina di pietanze al piatto sempre ispirate alla cultura mediterranea e medio-orientale da servire ai tavoli di quello che potrebbe essere un interessante “luogo di mezzo” tra un locale d’asporto e la piola di tradizione nord italica.
Andrea Contu