Saperi e sapori

Le merende di una volta.

di Monica Bonaccorsi

29/04/2007

 LE MERENDE DI UNA VOLTA In altri tempi, quando la vita, scandita da quattro stagioni, era meno convulsa e le abitudini alimentari più tradizionali e sane, e pari importanza avevano la genuinità dei cibi e la parsimonia, era usanza somministrare ai bambini colazioni o merende che, oltre alla piacevolezza del gusto, fornissero un nutrimento generoso, ma allo stesso tempo leggero. Nei ricordi d’infanzia il momento della merenda assume una suggestione tutta particolare, la gioia nell’avvertire il richiamo della mamma o della nonna ad andare in cucina a ritirare la sorpresa preparata per quel pomeriggio, momento trepidamente atteso perchè le donne, allora, giocavano anche di fantasia. La memoria mi riporta alla piacevolezza di alimenti, alcuni dei quali attualmente quasi scomparsi, a delicate sensazioni gustative ancora percettibili, tutt’ora riproponibili, se la frenesia e la cronica mancanza di tempo non travolgessero le odierne esistenze. Così diventa sempre più impegnativo preparare una fetta di pane con l’olio extra vergine di oliva, alimento tra i più preziosi, oppure spalmata di burro e zucchero o burro e sale. Quei pani fragranti, cotti nel forno a legna e chiusi nella bianca madia che ne conservava a lungo il profumo di lievito e di legno e dalla quale sprigionava un calore che restava persistente e quasi palpabile nell’aria. Pane e olio sono i due prodotti della nostra terra più tipici ed importanti che, insieme al vino, oltre a renderci famosi in tutto il mondo, hanno una notevole rilevanza nella nostra cultura. Il pane è l'alimento più ricco di simbologia, il cibo per antonomasia, semplice, fatto di acqua, farina e lievito, ma non è altrettanto semplice produrlo, infatti, è sempre più difficile, specie in alcune zone d'Italia, trovare del buon pane fragrante, con la crosta croccante e la mollica soffice, che si conservi a lungo, soprattutto da quando, per motivi igienici, sono stati chiusi o modificati, la maggior parte dei forni a legna. La storia del pane nasce con la storia dell’uomo, si dice che sia stato inventato dagli antichi Egiziani intorno al 3000 a.C., anche se i Babilonesi introdussero per primi l’uso della lievitazione ma, qualcosa di simile ad una focaccia, ottenuta dalla cottura di un impasto di polvere di ghiande ed acqua, era già usata nell’alimentazione fin dalla preistoria. In seguito la polvere fu sostituita da cereali macinati, che da un punto di vista nutrizionale soddisfano maggiormente il bisogno energetico umano, quali orzo, farro, miglio, segale e frumento. Quest’ultimo è diventato poi il cereale per eccellenza grazie alle sue caratteristiche ideali per una panificazione più raffinata e di qualità. Il pane toscano, preparato senza sale, per non alterare il sapore del cibo che accompagna, esalta il gusto intenso dell'olio extravergine di oliva, che già da 50 secoli è ottenuto dalla spremitura del frutto dell’olivo, albero tipico del bacino Mediterraneo, diffuso in Italia intorno all’anno 1000 a.C., ma presente in Siria e in Palestina fin dal 3000 a.C., fondendo pertanto, le sue origini e l’espansione con quelle dei popoli del Mediterraneo. L’olio è, in assoluto, il grasso più indicato per l'alimentazione (ed il più digeribile), non soltanto per il suo aroma, il suo sapore e la particolare fragranza che conferisce alle vivande, aumentandone l'appetibilità, ma anche per l'insieme delle sue proprietà e della sua composizione a base di acidi grassi monoinsaturi e un perfetto equilibrio di polinsaturi, il contenuto di vitamina E, protovitamina A e la sua ricchezza di agenti antiossidanti, come l'alfatocoferolo e il betacarotene che hanno un benefico effetto protettivo della salute. Spesso, specialmente in estate, poiché ogni frutto, una volta, aveva la sua stagione - non come adesso che c’è tutto, tutto l’anno - per rendere ancora più appetibile la merenda, magari per quei bambini più esigenti o disappetenti, si usava strusciare un mezzo pomodoro sulla fetta del pane, in modo che la polpa grassa e rosata ne impregnasse la superficie perfezionando, poi, con un pizzico di sale ed un filo di olio. Un altro legame tra cibo e ricordi d’infanzia mi riporta a mia nonna Anita, garibaldina di nome e di fatto, che certi giorni, all’ora della merenda, con esultanza da parte mia, mi concedeva di andare alla bottega, posta sull’altro angolo della piazza dove abitavo, ad acquistare un quadretto di cotognata, una speciale confettura densa e compatta che si ricava dai frutti del melo cotogno, facendone bollire il passato con zucchero fino a che diventa solido ed infine, asciugato al sole. Ho ancora oggi, nella mente, la visione del vassoio esposto in vetrina, contenente quel panetto di lucido color ambrato- rossiccio, del quale, già dall’ingresso, riuscivo a sentire il profumo penetrante ed aromatico di mela e caramello, pregustandone con vero piacere il sapore intenso, giustamente dolce e ricco con una venatura acidula e asprigna. Il melo cotogno, Cydonium Vulgaris, proveniente dall’Asia Minore, la cui esistenza è sicuramente anteriore alle testimonianze, risalenti al 4000 a.C., lasciate dagli antichi Babilonesi, fu utilizzato anche da Greci e Romani ed è stato raffigurato in alcuni affreschi ritrovati a Pompei. La mela cotogna, dai greci consacrata ad Afrodite ed usata nei riti propiziatori alla dea, simbolo dell’amore e della fertilità, veniva anche chiamata «pomo d’oro» e da ciò la leggenda che le mele d’oro, recuperate da Ercole nel giardino delle Esperidi, altro non fossero che mele cotogne. Questo frutto, di forma tondeggiante o panciuta ed allungata tipo una pera, dalla buccia color giallo oro, al quale sono stati assegnati vari significati allegorici, tra i quali anche un’allusione alla resurrezione, attribuita da Giovanni Bellini che la dipinse tra le mani di Gesù Bambino, è stato molto amato dai pittori di nature morte del ‘600, soprattutto dal Caravaggio e dai suoi seguaci. Le nonne e le bisnonne ancor prima, avevano l’usanza di conservare le mele cotogne, durante tutto l’inverno, nelle cucine per togliere i cattivi odori o appese negli armadi, penetrate da chiodi di garofano, per profumare la biancheria. Anche la cotognata ha remote origini, una simile purea era consumata già dagli antichi romani, se ne trovano notizie in alcuni trattati di cucina del medioevo ed era molto apprezzata nel periodo rinascimentale. Adesso, principalmente in Lombardia, nelle zone del Lodigiano e nella provincia di Vigevano, in Trentino, nelle regioni Abruzzo, Puglia, Calabria e Sicilia, è rimasta l’usanza, nel periodo tra ottobre e novembre, di produrre questo alimento che viene conservato, almeno nelle famiglie, dentro scatole di latta, insieme a foglie di alloro, per mantenerne inalterati il profumo ed il gusto, o in stampi rettangolari, che la tradizione vuole di giunco foderato di garza sottile. E’ consuetudine tagliare la cotognata in quadretti poi avvolti in carta stagnola, oppure modellarla in varie forme, con stampini di ceramica o di latta, talvolta tramandati tra generazioni e reperibili anche in qualche mercatino. Monica Bonaccorsi