Chiacchierando di gusto

Arriva la catalanesca

07/02/2007

 Vulcani di storia e sapori: Vesuvio e Campi Flegrei di Giulia Cannada Bartoli Mercoledì 8 novembre, in occasione di un incontro conviviale , organizzato nei Campi Flegrei con il pretesto del discusso Vino novello, assieme all'amico Nando Salemme, titolare dell'osteria Abraxas, abbiamo presentato al pubblico, al termine di un menù tutto flegreo, il risultato della prima vendemmia ufficiale da Uva Catalanesca del 2005. La catalanesca, uva vesuviana da tutti conosciuta e di antiche origini, da sempre vinificata e ritenuta di buon auspicio dalla tradizione popolare, è assurta finalmente al rango di uva da vino, entrando a pieno titolo nella composizione del Lacryma Christi Bianco e di un particolare vino passito ( direi piuttosto una splendida vendemmia tardiva) prodotto da uva catalanesca in purezza, "VO" 2005 delle Cantine Olivella di Sant'Anastasia. Si dice che la catalanesca sia stata portata in Campania da Alfonso I di Aragona e messa a dimora sulle pendici del Monte Somma verso il 1450. Proprio alle falde del Monte Somma, vicino alla sorgente Olivella , venne scoperto nel 1974 un frammento di orcio vinario, prova della ricchezza di una zona dalla quale , fin da tarda epoca provenivano alcuni dei vini più pregiati dell'antica Roma. All'imboccatura l'orcio reca impressa la sigla abbreviata di Sextus Catus Festius insieme ad una sorta di "logo" raffigurante una foglia d'edera stilizzata simile ad un piccolo cuore.. Questo sigillo, non a caso, è divenuto il logo delle Cantine Olivella, giovane azienda creata con passione da Domenico Ceriello, in uno dei comuni di elezione della catalanesca, oltre a Somma Vesuviana, Trecase e Pollena Trocchia. L'azienda produce oltre al VO, un Lacrima Christi Bianco DOC ( da catalanesca e caprettone ) e Lacrima Christi Rosso DOC (da piedirosso e aglianico). Torniamo al "VO" . Si tratta senz'altro di una novità e come tale va intesa. Le caratteristiche fanno pensare più ad una vendemmia spinta che ad un tradizionale vino passito, nonostante la vinificazione abbia seguito il metodo dell'appassimento su graticci con fermentazione in acciaio e successivo affinamento in bottiglia per circa 6 mesi, siamo in presenza di una splendida Vendemmia Tardiva, senza voler pretendere nulla di diverso. Il colore è intrigante, un giallo oro quasi antico, al palato è caldo, dolce , sebbene leggermente carente in freschezza. Imputiamo questa piccola imperfezione sia, alle caratteristiche intrinseche della catalanesca, non troppo forte in acidità, sia a questa parte di territorio vesuviano che ha le caratteristiche della bassa collina, non particolarmente elevata sul livello del mare. I sentori sono quelli tipici della catalanesca in versione surmatura, accompagnati da un piacevole retrogusto muschiato; anche in bocca l'elevata morbidezza prevale sull'acidità. La persistenza gusto olfattiva è comunque buona e ci consente abbinamenti tradizionali quali la pastiera napoletana e la pasticceria classica. Abbiamo degustato questo prodotto in condizioni diverse, la prima volta assoluto ed a digiuno ad una temperatura di circa 16°, la seconda al termine di questo luculliano convivio in quel di Pozzuoli, a temperatura di circa 8/10°: la differenza è notevolissima, propendiamo senz'altro per la prima versione di assaggio, ritenendo questo prodotto frutto del proprio territorio, con grandi potenzialità di tipicità e crescita, sapientemente trattato dagli allievi della scuola del mago del Vesuvio: l'indimenticabile Amodio Pesce. In chiusura qualche cenno sulla tradizione della cucina flegrea di terra, da pochi conosciuta, che abbiamo ritrovato l'altra sera all'Abraxas: un esempio di tradizione, certo rivisitata, ma non frullata nè omogeneizzata. Gli antipasti hanno sfilato all'insegna della tipicità e assoluta genuinità:: una commovente ricotta di Montella, la "Manteca" per i conoscitori, abbinata ad una pancetta flegrea di fattura rigorosamente contadina; a seguire bruschetta con olio di oliva extravergine e pesto di olive vesuviane prodotte dall'azienda Villadora; ancora, gli antipasti caldi: la "stracciata" di melanzane, una parmigiana casalinga sapientemente legata con uova e pecorino; e il "gattò" di patate "nzogna e pepe" ..l'idea? sostituire il pane grattugiato con la sfarinatura del saporito tarallo napoletano.Sapori autentici, equilibrati che abbiamo ritrovato anche nei primi piatti , rigorosamente di pasta di Gragnano, Paccheri alla zucca, e Fettuccine con broccoletti e ricotta di Montella.La chicca della serata è stata la "Liatìa", abbiamo letto sui volti uno sguardo interrogativo…"ma che è, si mangia? Certo che si mangia! E' uno dei tanti miracoli del glorioso maiale, del quale non si butta niente, orecchie , code, e scarti ! La tradizione secolare arriva da Bacoli e Monte di Procida, dove si usava far bollire gli scarti con spezie e sale, questo composto veniva poi travasato in cocci e condito a strati i con aceto, alloro, e, per chi poteva, cannella e pinoli; terminata questa fase si procedeva ad una seconda bollitura nel coccio , il composto veniva cosi' conservato per mesi e consumato freddo. L'abbiamo assaggiata increduli e qualcuno , un po' più avanti negli anni, ha ricordato la "tata" di famiglia. La serata si è chiusa in dolcezza con splendide e croccanti caldarroste di Montella, una casalinga torta di mele rigorosamente annurche, alla quale oltre al vino passito, abbiamo accompagnato una nuova acquavite da mela annurca, prodotta dal bravo Enzo Santini. Giulia Cannada Bartoli.