Saperi e sapori

Un vino da salvare: Il Vernaccia di Oristano.

di Adele Illotto

10/07/2009

 

 

Il Vernaccia di Oristano, vino culto dell’enologia della Sardegna fino agli anni 80, è da diversi anni in regressione, ma per la sua particolarità e per l’eccellenza che spesso è in grado di esprimere merita di essere salvato e valorizzato.
Attualmente la superficie vitata del vitigno vernaccia è di circa 400 ha, di cui solo la metà è iscritta all’albo vigneti della Camera di commercio di Oristano. E’ diffuso in un’area piuttosto circoscritta della Bassa Valle del Tirso, in provincia di Oristano, allevato tradizionalmente ad alberello, con una resa media di 33q.li/ha.

Il VITIGNO: presenta grappoli piccoli, di forma cilindrica o cilindrico-conica, con acini piccoli e tondi, di colore giallo dorato, a buccia sottilissima, molto pruinosa e succo molto dolce.
Il microclima e la particolare composizione geologica delle terre alluvionali della Bassa Valle del fiume Tirso consentono a questo vitigno la sua massima espressione.
Numerosi reperti archeologici rinvenuti nell’antica città fenicia di Tharros, situata nella penisola del Sinis, all’interno dell’attuale areale di coltivazione, dimostrano le antichissime origini di questo vitigno. La grande Eleonora d’Arborea, nel secolo XIV, per mezzo di apposite norme, contenute nella Carta de Logu ( prima raccolta scritta di leggi della Sardegna), ne protesse e ne incentivò la coltivazione.
L’ipotesi più accreditata sul nome di questo vitigno è quella della sua derivazione romana, da vernacula (uva del luogo), in quanto già presente in loco nel periodo romano. Questa ipotesi etimologica è confermata dalla diffusione del nome vernaccia in tutta Italia, associato a vitigni locali, completamente dissimili tra loro. 

IL VINO VERNACCIA: è il primo vino sardo a cui è stata attribuita la DOC (Decreto del 11.08.71 - G.U. n. 247 del 30.09.71) e il suo disciplinare non ha mai subito modifiche.
La particolarità di questo vino è dovuta soprattutto al suo invecchiamento o meglio al suo affinamento (come oggi si preferisce definirlo) per mezzo di lieviti flor, che lo fa collocare nel panorama internazionale affianco a vini come il Jerez e il Montilla-Moriles dell’Andalusia e il Vin Jaune del Jura. 
Dopo una spremitura soffice ed una fermentazione naturale, il vino è trasferito in botti dimedia capacità, di castagno o di rovere, riempite al 75-80% del loro volume. In queste condizioni (scolmatura e quindi presenza d’ossigeno) sulla superficie del vino si forma un velo costituito da lieviti flor, che nel Vernaccia sono principalmente Saccaromyces cerevisiae razza fisiologica bayanus e prostoserdovii, Zigosaccharomyces bailii e rouxi. Questi si stratificano sulla superficie del vino formando prima delle isole, che poi confluiscono fino a formare un velo che poi gradualmente ispessisce. Questi lieviti utilizzano per il loro metabolismo alcool etilico e acido acetico formando aldeide acetica precursore dei profumi caratteristici di questo vino.
La formazione di questo velo è fondamentale per la qualità finale del Vernaccia, più la sua formazione sarà veloce, più sarà spesso e compatto, maggiore sarà la qualità del prodotto. Quando il velo è completo e le cellule dei lieviti assumono la caratteristica forma esagonale, si realizza la massima protezione dall’aria e l’isolamento delle componenti olfattive e gustative del vino.
Raggiunto un determinato spessore, il velo scende in profondità, depositandosi sul fondo della botte, funzionando così da filtro mobile, rendendo il vino limpido e diminuendo l’intensità cromatica.
Nonostante i lieviti utilizzino l’alcool etilico per il loro metabolismo, il grado alcolico aumenta di 0,5-0,8% vol. all’anno, questo arricchimento è dovuto al fatto che la molecola dell’acqua più piccola di quella dell’alcool filtra più facilmente dai pori delle doghe sottili delle classiche botti, di consequenza le annate più vecchie (oltre 10 anni) hanno gradi alcolici che superano i 20% vol.
Le migliori annate di questo vino acquistano un bouquet complesso e singolare, particolarmente intenso, che in sardo è definito col termine univoco di murruau; al suo interno si possono individuare sentori eterei e di mirrato, di mandorle o nocciole tostate, di scorze d’arancia e di albicocche secche, di miele amaro, di spezie come la cannella e la vaniglia e nelle riserve più datate i profumi del muschio e del sottobosco.

Adele Illotto