Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
09/12/2009
Il cardunculus silvestris, il cardo selvatico, pianta diffusa allo stato spontaneo in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo, parente lontano del cardunculus scolymus ovvero il carciofo, presenta una spiccata adattabilità all'ambiente mediterraneo. È una specie ampiamente conosciuta sia per l'impiego a fini alimentari dell'infiorescenza a “capolino”, ovvero il carciofo vero e proprio, sia per le proprietà farmaceutiche, oltre che per l’utilizzo di agenti coagulanti nel latte per la preparazione di formaggi ovini.
“Conviene coagulare il latte con caglio di agnello o di capretto, quantunque si possa anche rapprendere con il fiore di cardo silvestre o coi semi del cartamo o col latte di fico. In ogni modo il cacio migliore è quello che è stato fatto col minimo possibile di medicamento” così affermava nel 50 d.C. il letterato latino Lucio Giunio Moderato Columella nel suo trattato di agronomia il “De Re Rustica” (libro VII). L’uso del cardo selvatico al tempo dei romani era una pratica di caseificazione assai diffusa, recuperata da alcuni anni nella campagna romana, dove il cardo e il carciofo hanno il loro habitat naturale, da cinque piccoli produttori che utilizzano il “fiore” di cardo come caglio e ripropongono formaggi ovini a latte crudo dal sapore antico.
Si tratta del caciofiore della campagna romana, un antenato del Pecorino Romano, ma la particolarità è nell’uso di latte crudo, intero, coagulato con un caglio vegetale ottenuto dal fiore di carciofo o di cardo selvatico. I fiori vengono recisi nelle giornate soleggiate e secche quando sono completamente fioriti ed hanno una colorazione viola intenso e poi fatti essiccare al buio. Dopo circa venti giorni si sfilano gli stami e si conservano sottovuoto, per preparare, all’occorrenza, il caglio vegetale attraverso una macerazione in acqua per un’intera giornata. Grazie all’azione proteolitica degli enzimi del fiore a contatto del latte, dopo circa un’ora, avviene la coagulazione. Si procede quindi alla produzione del formaggio con successive rotture della cagliata, posta in forme quadrate per far spurgare il siero, il formaggio viene, il giorno seguente, salato a secco con sale marino e trasferito in appositi locali per la stagionatura, che si protrae dai trenta ai sessanta giorni. Durante questo periodo le forme vanno rigirate almeno una volta al giorno per evitare un eccessivo sviluppo di muffe in superficie. Il formaggio così ottenuto ha la forma di una mattonella di circa dieci centimetri di lato, alta circa cinque, con peso intorno ai quattrocento grammi. La crosta edibile, grinzosa e giallognola che tende a scurirsi con il tempo racchiude una pasta morbida, con lievi occhiature difformi ed un cuore sorprendentemente cremoso. Il profumo è ricco, con sentori di carciofo e verdure di campo, il sapore è intenso, lievemente amarognolo, acidulo, pungente con spiccate note di carciofo, erbe campestri e fieno.
Il recupero di questo antico formaggio si deve all’Agenzia Romana Mercati, l’Azienda Speciale della Camera di Commercio di Roma per il settore agroalimentare, ed alla fondazione per la biodiversità di Slow Food che ne ha fatto oggetto di un apposito presidìo contribuendo così a preservare un formaggio ovino a latte crudo, da pecore prevalentemente di razza sarda e comisana, libere di pascolare in quel che resta dell’Agro Romano, un tempo pieno di greggi che qui svernavano in attesa di trasferirsi in estate in Abruzzo. Il Caciofiore era presente nella bibliografia sino a pochi anni or sono in Abruzzo e nelle Marche, ma è il Lazio la sua terra di origine. Il caciofiore è tra i più caratteristici al mondo, prodotto nella campagna romana solo nel periodo da ottobre a giugno ed è possibile acquistarlo presso cinque produttori, di cui quattro nel territorio del lago di Bracciano.
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Bruno Pitzalis Anguillara Sabazia (Roma) Via Casale di Spanora,40 tel/fax 0699849326 info@gennargentuformaggi.com www.gennargentuformaggi.com
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