Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
26/04/2010
Religiosità e folklore, la sapiente mistura tutta siciliana, obbliga i praticanti della religione cristiana a preparare delle particolari leccornie per tutte le occasioni festaiole. Retaggio sicuramente riconducibili a culture arcaiche, soprattutto d’origine ellenica ed Ebrea. Ad esempio, per s. Lucia, il non mangiar cuccia poteva cagionare la perdita della vista. Pertanto, il calendario liturgico, tra divieti ed obblighi, risultava un ricettario a cui tutti dovevano attenersi per guadagnarsi la serenità terrena e preparasi quella in paradiso.
Il padre putativo di Gesù si onora con il pane votivo, con gli innumerevoli piatti di verdure, (100 a Salemi, 20 a Chiusa S., ecc.), la pignoccata e l’ insostituibile “sfincia”.
Al “Patri arcanu”, i devoti palermitani gli hanno dedicato una gigantesca "sfringia” ripiena di ricotta, mentre nel nell’entroterra sono più piccole ed inzuppate con miele o zucchero.
Il patriarca San Giuseppe è sicuramente uno dei santi più amati di tutta l’isola. Ogni famiglia ha tra i suoi componenti qualcuno con il suo nome, così come risulta patrono di moltissimi paesi, con l’intitolazione di numerose chiese. Nella tradizione popolare, è il protettore: degli orfani, e delle ragazze nubili, poveri, santa Provvidenza, avvocato delle cose impossibili. Il “voto” si manifesta con l’uso della promessa, a miracolo esaudito, con l’allestimento dell’altare e l’offerta del pranzo ai cosiddetti santuzzi, virgineddi, vicchiareddi, ecc., cioè poveri che non sapevano come “sbarcare il lunario”. Naturalmente per la festa di S. Giuseppe il pane è l’elemento di koinè tra l’umano ed il divino. Attraverso la plasticità del pane si esprimono i desideri inconsci e le fogge sono il simbolismo che esprime il bisogno da attenzionare al Santo che intercedere al Figlio suo diletto.
Ma torniamo alla nostra leccornia. La sfincia, quindi, è il dolce per antonomasia di S. Giuseppe. Pare che questa piccola pasta sia il dolce più antico della storia dell’umanità. Camuffato con il nome di frittella lo troviamo in centinaia di pagine della Bibbia, del Corano e di vari libri storici e religiosi. La sua origine è persiana. Di lì, si è diffusa in tutto l’Oriente. Paste, azzime, più o meno lievitate, dolce o salate, ma comunque, sfinci.
L'origine di questa squisitezza pare che risalga alla festa in onore di Demetra, divinità greca delle messi e a Liber Pater, Padre Libero, dio romano della famiglia e della fecondità dell’uomo e della terra. In entrambe le ricorrenze, mentre bruciavano grandi falò simboleggianti l’allontanamento dell’inverno e dei suoi rigori e l’arrivo della primavera vivificatrice, venivano offerti agli astanti pani e dolci di farina fritti nell’olio, le nostre antesignane sfinci.
La ricorrenza del 19 marzo festa di San Giuseppe ha assorbito le due coincidenti festeggiamenti.
Michele Amari, ministro della cultura del periodo fascista, riporta la singolare ricetta trovata nella biblioteca di S. Martino delle Scale (Monreale) che pubblicò nella Storia dei Musulmani in Sicilia. “Sono rimasti arabi di nome e di fatto in Sicilia i camangiari (nota n. 1). De’ Camangiari vanno notate le paste fermentate e fritte che in Sicilia, al par che in Barberia (Magreb), si chiamano sfinci, dal latino “spongia”. Il nome che indica generalmente questa frittella, deriva dal latino "spongia" cioè spugna, e dal greco "sfoggia". Dunque frittelle morbide, gustose e asimmetriche, che sembrano delle vere e proprie spugne. Molti però fanno derivare il vocabolo dall'arabo "sfang" col quale viene indicata una frittella di pasta addolcita con il miele. II dizionario siciliano anonimo del '600 registra il termine sfincia e ci spiega che si tratta di frittelle ed è, con lo stesso significato, che tale voce viene registrata dal Traina e dal Nicotra. II Mortillaro ci parla tanto di una vivanda di pasta molliccia, fritta in olio e ripiena di ricotta, che si usa specialmente in inverno, tanto di una "composizione più nobile” ove entrano delle uova battute e lo zucchero e che può mangiarsi anche fredda.
Le sfinci sono rimaste nella nostra tradizione come dolce tipico e come simbolo di festa del Santo protettore degli umili: come umili sono i suoi ingredienti; farina, acqua e olio extravergine, zucchero e cannella. Naturalmente l’estro dei pasticcieri, l’abilità delle suore dei monasteri e soprattutto la nuova tecnologia hanno trasformato questa semplice frittella in un dolce prelibato, arricchendolo di altri componenti e di tecniche di preparazione.
Esistono diverse tipologie di sfince. Sfrinci di S. Giuseppi, molto nota a Palermo, una specie di contenitore che grazie alla sua sofficità consente di essere riempito di crema di ricotta e decorato con frutta candita. sfincia di patate, sfincia di prescia, cioè sbrigative, sfingi di pasta, sfinci frarici, cioè sforme, sfincia di riso, con impasto a base di riso, coltivazione presente fino alla metà del 1800 quando venne bandito perché causava la malaria.
Le sfnce non sono tutte eguali. Ogni donna ha la sua ricetta e ritiene che sia la vera, unica e sola. Non chiedete mai le modalità di preparazione perché non avrete risposta. Le più furbe, vi daranno il procedimento sbagliato. Non vi meravigliate! La sfincia nel mondo femminile è una cosa seria! Tecniche e accorgimenti che si tramandano da madre in figlia attraverso quel famoso testamento culinario costituito dai vecchi ed imbrattati quaderni, abbelliti da medaglie d’olio, o di chissà quale salsa. Oppure da laboratori familiari dove i saperi vengono tramandati in silenzio scanditi dal Cioffi, Cioff, Cioff della pasta che sbatte velocemente ed inarrestabile. “Mia figlia deve saper fare tutto….! compreso le sfincie, naturalmente per deliziare suo marito”.
La tradizione vuole che le sfince siano preparate dalla suocera per esser date in omaggio alla nuora. I maligni sostengono che è un modo per addolcire i rapporti sempre tesi fra le due donne di famiglia, stracolme di gelosia. La sfincia appartiene anche ad un modo di essere o intendere. Il detto: “Sfincia sfatta”, sta per persona non affabile che accumula un notevole livello di appiccicosità che ricorda l’intossicazione e intolleranza alimentare. “Mi sentu ‘na sfincia”, può avere due significati. O di sentirsi ammaccatu, mal concio, uno stato di lassismo, oppure, gonfia, bella, piena di orgoglio. Il senso naturalmente dipende da come è pronunciata l’espressione e quale tipo di sfincia si fa riferimento. E’ preferibile nel secondo caso dire “ Unghia comu ‘na sfincia”, espressione popolare di soddisfazione. “Sfinci c’è!” è un’espressione per negar tutto. Mentre, “Sfincia e sfungia”, significa gonfia e sgonfia. “Jttari sfinci” vuole significare affaticarsi inutilmente o esageratamente. Ad una donna indaffarata non dite mai cosa c’è da mangiare perché risponderà “Sta sfincia”. E’ una mala risposta ed allude ad un organo ed un attributo di cui conosce il sapere e che non le appartiene. Le forme delle sfince rispondono a tipologie ben definite: a palla o sfera, a cucchiaio, a mezzaluna, allungata ed infine forma di contenitore con vistose bolle.
Sfince più o meno soffici, altre morbide, altre dolci, altre ancora sforme, comunque, sempre sfince sono. La sfincia dolce è conosciuta nella Sicilia Occidentale, mentre in quella Orientale, assume il nome di crispedda, la si trova anche salata, impastata con acciughe. Per la sfincia c’è una proliferazione annuale di sagre presenti in quasi tutti i comuni siciliani e in diversi periodi dell’anno. Chi predilige l’estate, altri l’inverno, altri ancora la primavera. Per farla breve, questa millenaria frittella addolcisce le feste dei popoli mediterranei da più di dieci secoli e nonostante tutto non è facile da rimpiazzare.
Sfinci di San Giuseppi (Mimmo Cacino)
Ingredienti: 1 l. di acqua, 225 g di strutto, 600 g di farina, 15 nova, 10 g dì sale, la buccia di un limone, crema di ricotta q. b., scorza candita di arancia q. b., cioccola¬to a granella q.b., zucchero a velo.
Esecuzione: Porre in una casseruola l'acqua, lo strutto e il sale e, quando bolle, incorpo¬rare la farina facendola assorbire bene rimestando continuamente. Togliere dal fuoco e fare intiepidire continuando a mescolare. Incorporare uno alla volta le uova sempre mescolando fino a quando la pasta forma delle bolle. Con un cucchiaio da tavola far cadere in una padella con olio e strutto caldi il composto e friggere a fuoco moderato. Far raffreddare, farcire e ricoprire con crema di ricotta piazzando su ciascuna «siincia» un filetto di scorzetta candita di arancia, cioccolato a granella e spolverare con zucchero a velo.
Sfinci di pasta (Tradizionale)
Ingredienti: Kg. 1 di farina, Patate gr. 800, Sugna gr. 100, uova 4, un pizzico di sale, latte poco, lievito di birra gr. 30
Esecuzione: Le patate bollite e pelate si passano nello schiacciapatate; la farina si mette a monticello con incavo nella parte alta, dove si rompono le uova e si aggiunge la sugna. Si aggiungono inoltre le patate setacciate, un pò di latte, un pizzico di sale e il lievito di birra. Il tutto viene impastato fino a che si ottiene una massa omogenea.
Dall'impasto se ne prende una parte con la mano, si stringe e si fa uscire fra il pollice e l'indice con le estremità delle dita aderente al palmo della mano. Con un cucchiaio se ne prende una piccola porzione, che si butta nella padella in olio bollente. Si ripete l'operazione fino all'esaurimento dell'impasto. Quando le sfingi assumono il colore indorato, si prendono con la schiumarola e si mettono in un piatto concavo; dopo di che queste vengono trattate con miele sciolto e zucchero.
Mario Liberto