Saperi e sapori

PIEMONTE conservare per offrire novità

di Stefano Raimondi

19/07/2010

1974...sono passati ormai parecchi anni da quando, tra le ripide colline del Roero, in Piemonte, si condussero le prove preliminari di vinificazione in purezza dell’Arneis, un vitigno che, tra i primi in Italia, stava per riemergere dall’oblio per affiancarsi a vitigni cosiddetti ‘maggiori’. In quell’epoca, la volontà dei produttori e di alcuni ricercatori dell’Università di Torino, riuscì ad andare contro all’imperativo della produttività e della standardizzazione, rivelando la possibilità di integrare le produzioni enologiche di base di un territorio con prodotti forse ‘minori’ per quantità prodotta, ma non certo inferiori per qualità ed interesse.

Negli anni, si sa, questo processo non si è arrestato, anzi, si è diffuso e quasi ogni regione d’Italia ha riscoperto uno o più vitigni locali che con le loro particolarità rendono variegato ed interessante il panorama enologico del nostro paese. Ma il Piemonte si è fermato all’Arneis? La possibilità di riscoprire un vitigno veramente qualitativo o particolarmente interessante dipende ovviamente dalla quantità di cultivar che un territorio è stato in grado di conservare e il Piemonte, in questo senso, è una riserva di sorprese: nel vigneto di collezione regionale, costituito a partire dal 1992 a Grinzane Cavour (CN) da Anna Schneider, dell’Istituto di Virologia Vegetale del CNR di Grugliasco (TO), sono stati conservati e caratterizzati circa 400 vitigni locali rari o a rischio di estinzione, raccolti in ogni angolo del Piemonte; da questa grande riserva di biodiversità, grazie al costante supporto della Regione e all’attività dei tecnici della Vignaioli Piemontesi è stato possibile valutare le attitudini produttive di molte varietà promettenti ed impostare prove di vinificazione per la valutazione enologica di numerosi vitigni minori piemontesi. I vigneti sperimentali destinati a questo fine, dislocati sul territorio regionale, hanno fornito dati ed indicazioni sufficienti per giungere all’iscrizione al Registro nazionale di una decina di varietà di vite in meno di 10 anni. E l’opera continua. Nella fase più recente, grazie al progetto ‘Valutazione delle attitudine produttive ed enologiche di vitigni minori piemontesi’, a finanziamento regionale, sono state vagliate le caratteristiche qualitative di una trentina di vitigni minori del territorio piemontese e sono emerse alcune vere ‘perle’ da riscoprire: tra queste una Malvasia bianca tipica e esclusiva del Piemonte, dalla spiccata aromaticità, ma priva, se vinificata senza residuo zuccherino, del tipico sentore amaro del Moscato bianco; il Bian ver, sinonimo della francese Verdesse, bianco alpino di grande ricchezza olfattiva e dalla acidità sostenuta, che si preannuncia un’ottima base per spumanti di pregio; la Slarina, cultivar a bacca rossa recentemente autorizzata alla coltura, che abbina un vivace colore a profumi fiorali e speziati; o il Baratuciàt, curiosa rarità a frutto bianco della bassa valle di Susa, da pochi anni riproposto ai viticoltori, che ne potranno ottenere vini strutturati e dai profumi intensi e particolarissimi. A finire la carrellata, la Montanera, ritrovata sporadicamente lungo tutto l’arco alpino nord-occidentale e che, a dispetto della diffusione ormai scarsissima, fornisce vini rossi intensissimi, strutturati e pieni: un vitigno, così come i molti altri, che riemerge dall’oblio per soddisfare l’interesse e la curiosità dei consumatori contemporanei.

Stefano Raimondi -  IVV-CNR, unità staccata di Grugliasco (TO)

Articolo in collaborazione con ViniBuoni d'Italia www.vinibuoni.it