Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
24/08/2010
Marinella di Selinunte: alla corte di “Slow Food”, sarde ‘ncannate e vino Insolia delle Tenute Piazza
Nella suggestiva cornice di Marinella di Selinunte, frazione del Comune di Castelvetrano (TP), si è svolta una kermesse dedicata alle sarde preparate in un modo tutto singolare: ‘ncannata, cioè arrostita sulla brace adoperando delle cannucce per sostenerle. Una tradizione che è sempre esistita, soprattutto tra la popolazione di pescatori della costa mediterranea. Naturalmente il tutto con il marchio di Slow Food, condotta di Marsala, capitanata da Giovanni Cucchiara.
L'abitato di Marinella di Selinunte, oggi centro turistico-balneare con spiagge incantevoli, è sorto alla fine del secolo scorso nella parte sud-orientale della provincia di Trapani. Si estende su un lungo litorale sabbioso, posto tra la foce del fiume Selino, nei pressi dell'Acropoli selinuntina e il porticciolo ad est della stessa località.
A ridosso della località turistica impera Selinunte dal greco Selinos, antica città greca. Il nome deriva dal sedano selvatico che i coloni vi trovarono in abbondanza e che raffigurarono anche nelle loro monete. Nel sito archeologico sono presenti alcuni templi intorno all'acropoli e altri templi su una collina più interna insieme ad altre costruzioni secondarie. Secondo Tucidide, Selinunte fu fondata verso la metà del VII secolo a.C. da coloni greci provenienti da Megara Iblea. La città ebbe una vita breve (circa 200 anni). In questo periodo la sua popolazione crebbe fino a raggiungere le 25.000 unità. Alleata a lungo di Cartagine, dalla quale sperava di ottenere appoggio per contrastare la rivale Segesta, viene infine distrutta proprio dal cartaginese. Annibale nel 409 a.C., secondo Diodoro Siculo, distruggerà la città provocando la morte di sedicimila selinuntini e la cattura di cinquemila i prigionieri. Alla supplica dei superstiti di lasciarli liberi e di risparmiare i templi della città dietro il pagamento di una forte somma, Annibale accettò, ma una volta avuto il riscatto in mano, depredò i templi e distrusse le mura. Selinunte si rialza a fatica e a stento riesce a reggere fino alla seconda guerra punica quando viene rasa al suolo.
Se il contesto era eccezionale, la parte della regina l’ha fatta la sarda (Sardina pilchardus) la più comune fra i pesci del nostro mare, ma anche la più economica, riconoscibile per la pelle coperta di squame che sfuma dal verde, all’azzurro, all’argento. Nonostante la sua carne è piuttosto grassa, e per questa ragione molto deperibile, va consumata freschissima.
Per Giuseppe Barraco, con alle spalle cinquant’anni di attività di pescatore, la sarda di Selinunte ha delle peculiarità superiore al resto della Sicilia. A differenza delle altre, “la sarda saluntina” vive nei fondali sabbiosi, poveri di plancton, che è l’alimento di questo pesce, pertanto non raggiunge grosse dimensioni. Mentre le sarde delle coste rocciose, poiché più ricche di alimentazione, sono molto più grosse e ricchi di grasso. La sarda viene pescata con una tecnica, praticata in tutto il Mediterraneo fin dai tempi di Omero, come dice Barraco: “a tratta”. Essa consiste in una rete a maglie strette tali da poter fermare le acciughe che restano “ammagghiati” tra i meandri della rete. La “tratta” si può “calare” o prima del tramonto e si “salpa”, si tira dopo qualche ora (“posta di prima sira”), oppure si “cala” qualche ora prima dell'alba per poi essere “salpata” qualche ora dopo. Ma vengono pescate anche con l'utilizzo della “lampara”, piccola imbarcazione dotata di un gruppo elettrogeno che serve ad alimentare lampade da 500 watt, capaci di sviluppare un intensa fonte luminosa sull'acqua. Il pesce, attratti dalla luce, si posizionano sotto la barca a questo punto una barca più grande inizia a “calare” il “cianciolo” attorno alla lampara, chiudendo così l'intero pescato. Questo meccanismo di cattura, l’imprigionamento della testa dell’alice nelle maglie della rete, da cui il nome da magghia, provoca un dissanguamento naturale che rende il pesce più gustoso e quindi pregiato.
Ma tornando alle sarde, Giuseppe, una per volta, li infilza in una cannuccia lunga circa 20 cm, provvedendo a salarle leggermente. Per arrostire le sarde il vecchio marinaio consiglia di usare “magliola di vigni”, cioè i tralci della potatura della vite, perché più profumati e il carbone dura più a lungo. Pochi minuti ed il profumo ha infranto tutta la spiaggia. Profumi e sapori indimenticabili. La sarda è consigliata dai cardiologi, così come tutti i pesci azzurri, per le sue le sue qualità di prevenzione delle cardiopatie specie nelle persone affette da ipercolesterolemia, poiché particolarmente ricca di acidi grassi essenziali omega 3. È molto usata in Sicilia per preparare la famosa ricetta della pasta con le sarde oppure la sarda a beccafico. Se la regina è stata la sarda, il consorte re, è stato il vino bianco di Insolia dell’azienda di Giuseppe Piazza. Un vitigno autoctono di grande pregio che trova nel territorio di Ribera (AG), per la ricchezza del terreno e per le caratteristiche chimiche e fisiche, l’eccellenza per esaltarsi. Il vino prende il nome dal sito archeologico di Scirtea, città di origine Sicana, ricordata dalla storia per essere stata la roccaforte degli schiavi durante la seconda guerra servile (104 a.C. - 99 a.C.) Un vino ottenuto da uve biologiche e si fregia anche dell’Indicazione Geografica Protetta Sicilia (IGP); di colore giallo dorato con vivacità di riflessi verdi, ricco di fruttato con nota agrumata. Al gusto è persistente, caldo, arricchito da una giusta acidità accompagnata da una complessità speziata con ritorno di miele di zagara.
La cena si è svolta nel celebre locale della Zabbara che nell’occasione ha preparato dei prodotti tipici del territorio: caponata, olive, pane di tumulia o nero, sarde a beccafico, formaggi, ecc. A dare un tono di suggestione hanno contribuito la luna, che nella massima luminosità ha rischiarato la bellissima spiaggia, il mare, con le onde che lentamente riflettevano una luce smorzata che andava ad infrangersi sulla sabbia, e tanta simpatica gente che ha fatto festa alla tradizione rivivendo la memoria della sarda ‘ncannata” e regalandosi un momento di salutare euforia con il vino di Insolia di Giuseppe Piazza.