Chiacchierando di gusto

Un villaggio della birra nel cuore del Brunello

di Maria Silvia Olivieri

15/09/2010

 

Bibbiano è un piccolo borgo, frazione del comune di Buonconvento, nella provincia di Siena. E’ collegato con la ben più famosa Montalcino da una strada sterrata: suggestiva, panoramica, “eroica” così come la gara ciclistica che la percorre, tuttora epica per quel ciclismo contemporaneo emule del mito di Bartali.

Percorrendo questa strada si incrociano i cancelli delle aristocratiche tenute vitivinicole, i cui lunghi viali di cipressi lasciano intravedere in lontananza le signorili dimore di campagna e conducono verso vigneti che a metà settembre sono carichi di grappoli viola, quasi pronti per trasformarsi nei pregiati vini della zona di Montalcino.

In questo eden del vino, invidiato da tutto il mondo, Bibbiano è un avamposto della cultura birraria, una bandiera con i colori del luppolo e del malto, in mezzo a un territorio a spiccata vocazione vinicola. Perché da quattro anni a questa parte, la manciata di case che compone Bibbiano diventa per due giorni una piccola Bruxelles, polo di attrazione per quanti in Italia e in Europa guardano con interesse alla produzione di birra artigianale. Dal 2006, infatti, a Bibbiano sono chiamati a raccolta i micro-birrifici artigianali belgi, per popolare l’ormai annuale appuntamento del Villaggio della birra e condividerne lo spazio con alcuni birrifici italiani, invitati in numero più contenuto e a rotazione (a eccezione del birrificio L’Olmaia, presente a ogni edizione in qualità di produttore del posto).

Nel fine settimana dell’11 e 12 settembre dodici mastri birrai, valloni e fiamminghi, gomito a gomito con quattro birrifici italiani, hanno accolto a spillature aperte un popolo di appassionati, con generosità di confronto, pronti a rispondere alla curiosità e all’interesse di chi si avvicinava al banco, e impegnati tutti nel farsi capire dai propri interlocutori: i birrai belgi con un sorprendente italiano e gli estimatori italiani nello sforzo di richiedere le birre, alcune dai nomi decisamente impronunciabili.

Il mondo della birrificazione belga è stato rappresentato da Boelens Huisbrouwerij, ‘tHofbrouwerike, Den Hopperd, Brasserie de Cazeau, Brouwerij de Ranke, Brasserie du Lion à Plume, Brasserie Sainte Hèlène, Brasserie de Rulles, Brouwerij Sint Canarus, Glazen Toren Brouwerij, Hof ten Dormaal e Schelde Brouwerji. Lo stendardo italiano è stato tenuto con onore e fierezza, oltre che dal già citato L’Olmaia, dallo storico Birrificio italiano, dal Birrificio Toccalmatto di Fidenza e da Pausa Caffè, un birrificio piemontese, nato sull’esperienza di una cooperativa che favorisce le opportunità di reinserimento socio-lavorativo per i detenuti di due case circondariali, di Torino e Saluzzo.

Si tratta prevalentemente di micro-birrifici, alcuni con produzioni che non superano i 700 ettolitri l’anno, con una straordinaria cura della birrificazione: dalla selezione delle materie prime, all’ammostamento, dalla fermentazione all’imbottigliamento. Ed è una cura che trova risonanza nel naso e nel palato, perché gli aromi e i gusti di queste perle (alcune di loro rarissime da trovare in Italia) sono marcati, netti, originali: niente a che vedere con le birre di produzione industriale, omologate nel gusto fino a diventare totalmente piatte, prive di ogni carattere distintivo, di ogni personalità.

Vari gli stili di birra spillati: belgian ale, stout, bitter. Il filo rosso è stato, tuttavia, tracciato dalle saison, birre prodotte tra maggio e giugno, originariamente destinate a dissetare il lavoratori nei campi, che le sotterravano per mantenerle fresche e berle nelle pause del lavoro. Sono birre molto beverine, di gradazione non alta e con sentori floreali: nel degustarle sembra esplodano nel palato la primavera e l’estate.

I birrifici presenti sono tutti parimenti menzionabili perché, pur nelle loro differenti caratteristiche, rappresentano ognuno una piccola grande eccellenza. Meritano tutti – allo stesso modo – onore di citazione e di plauso, per l’alta qualità dei prodotti, nonché per lo spirito intrepido con cui birrificano e si mettono in gioco sperimentando. Nel volerne citare uno per tutti, chi scrive non può omettere il belga Sint Canarus, una vera e propria scoperta con le due birre – la Maeght Van Gottem e la l’omonima Sint Canarus - entrambe di grandissima personalità e dall’equilibrio perfetto. Ottime.

Sotto un ampio tendone, piantato nel piazzale antistante al TNT Pub - il locale che egregiamente organizza il Villaggio, e che con mirabile lungimiranza porta avanti un lavoro di promozione culturale della birra artigianale – con bicchieri alla mano, la fauna umana presente è stata delle più eterogenee, degna di suscitare ben oltre il semplice interesse di sociologi e antropologi. E’ capitato, dunque, di vedere su una stessa panca, intenti a chiacchierare, un ragazzo con abbigliamento dark e tatuaggi con una signora dai capelli canuti freschi di messa in piega e la camicetta stirata. E’ probabilmente la loro conversazione l’icona del popolo del Villaggio: persone di ogni età, con differenti abbigliamenti, differenti estrazioni sociali e culturali, diversità di provenienza. Tutte insieme, sotto lo stesso tendone, a condividere una passione comune e scambiarsi impressioni, pareri o semplici sguardi d’intesa. Un’espressione di partecipazione e di democrazia, difficilmente riscontrabile in altri ambienti e sicuramente favorita anche dallo stesso atteggiamento dei mastri birrai e degli esperti in materia che sono avvicinabili e accessibili, disponibili all’incontro con i consumatori.

Tre laboratori - tenuti da Lorenzo Dabove, Kuaska – sono stati l’occasione per una degustazione guidata delle birre presenti. Come in tutti gli eventi in cui Kuaska è maestro di cerimonia, i tre incontri hanno acquisito vita e anima proprie, e si sono svolti in un’atmosfera di grande condivisione, alla presenza dei mastri birrai che hanno raccontato le storie delle loro birre, inevitabilmente confuse con quelle personali. Gli aneddoti di vita vissuta hanno così arricchito il racconto della nascita delle singole birre, dei loro nomi, dei personaggi e dei luoghi che le hanno ispirate.

Nel Villaggio una piazza è stata dedicata agli homebrewers, moderni apprendisti stregoni che nella cucina di casa propria si dedicano alla produzione di birra. Molti mastri birrai sono diventati tali partendo da sperimentazioni casalinghe ed è sempre sorprendente vedere la passione con cui gli homebrewers vivono gli eventi a loro dedicati, come a Bibbiano dove hanno avuto l’opportunità di partecipare a un concorso e a un meeting nazionale, con un confronto diretto con i birrai belgi. Un’occasione unica e fortunatamente più che ripetibile, proprio i nome di quella citata democrazia che la birra riesce ancora a ispirare.

Infine, quasi come una cerimonia collettiva, la mattina del 12 settembre è stata realizzata una “cotta pubblica”, con ammostamento, filtraggio e bollitura di una birra che verrà fatta assaggiare il prossimo anno. Quasi un saluto con “spari a salve” per onorare i birrai presenti, gli estimatori e la stessa birra, regina del Villaggio. Sicuramente un omaggio al territorio ospitante, perché il lievito utilizzato è stato quello del vinsanto, quasi a voler significare che la distanza tra il luppolo e la vigna a Bibbiano non è poi così ampia.

 

Maria Silvia Olivieri