Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
11/10/2010
Percorro la strada lungo la quale nell’anno 1111 il coppiere Martino, al servizio del vescovo Defuk, anticipava il suo signore – in viaggio verso Roma per l’incoronazione del germanico Enrico V - alla scoperta delle cantine in cui trovare del buon vino. Il coppiere e il monsignore avevano un loro codice, una sorta di simbolo precursore delle “stelline” e dei “bicchieri” assegnati oggi nelle moderne guide: là dove il vino era buono, Martino scriveva sulla porta “Est!”. E quando arrivò a Montefiascone…
Anche io, come il coppiere di Defuk, arrivo in questa cittadina nel cuore della Tuscia laziale, che dall’alto domina il lago di Bolsena e che ospita un gustoso presidio di Slow Food, la Susianella, un salame fatto con la carne, il fegato, il cuore, il pancreas del maiale e condito con pepe, peperoncino, finocchio e altre spezie.
La mia meta, però, a differenza di Martino, non sono le rinomate cantine della zona, ma la bottega birraia
, un birrificio nato all’inizio del 2010 che ha già attirato l’interesse e la curiosità dei consumatori e del mondo birrario in generale.
Sulla soglia del piccolo stabilimento – è un micro birrificio in tutti i sensi, anche come struttura e impianto – mi accolgono Orazio Laudi e Massimo Serra. Al primo impatto sembrerebbero una strana coppia, perché per aspetto, atteggiamenti, espressioni non possono sembrare più diversi. Eppure dopo qualche minuto di chiacchiere insieme, appare subito che sono diversi, si, ma perfettamente complementari e soprattutto accomunati da un elemento essenziale per chi fa un lavoro artigianale come il loro: la passione. Una passione che trapela quando raccontano come hanno deciso di dare vita al birrificio, quando descrivono il lavoro comune, quando parlano delle birre loro e di quelle degli altri. Orazio e Massimo in qualche modo incarnano lo stereotipo, romantico ma per ora altrettanto reale, di molti birrai artigianali italiani, disponibili a dialogare con i consumatori e in continua ricerca per aumentare la qualità della loro produzione. «E’ nell’interesse di tutti» commenta Orazio «che si realizzino prodotti di qualità. Il lavoro di ogni singolo birrificio contribuisce a rafforzare la birra artigianale italiana».
Per questo i birrai amano incontrarsi e confrontarsi tra di loro, dando vita – agli occhi di chi li guarda da fuori – a una comunità di artigiani che collaborano e che condividono le esperienze. Un laboratorio di idee e di scambio di conoscenze. Decisamente (e qui è quanto mai appropriato dirlo) in fermento. E così sono Orazio e Massimo che nei confronti dei loro colleghi – più o meno noti – sono generosi di esternazioni di stima e di apprezzamento.
Come consumatrice posso solo godere di questa dimensione, ma allo stesso modo non posso non chiedermi per quanto tempo ancora durerà. Quanto i birrai italiani sapranno tenere botta alla crescita del mercato, al volume del fatturato, alla concorrenza? Mi piace pensare che la risposta risieda proprio in un nome, come nella Turandot. Turan era, infatti, la Venere etrusca, dea dell’amore, della fertilità e della vitalità. Per un birrificio è un nome suggestivo e sicuramente ben augurante. In modo romantico, nella scelta del nome, ci leggo anche l’intenzione di avvicinare il birrificio al suo territorio, per quanto Orazio e Massimo molto prosaicamente mi parlino di malti americani e di luppoli provenienti dal Giappone.
Per il tempo che rimango nello stabilimento sono diverse le persone che vengono a incontrare i birrai di Turan per conoscerli, per prendere un appuntamento, per salutarli. Con loro Orazio e Massimo stappano alcune bottiglie per una degustazione d’eccezione.
Si inizia con una sorpresa. Una bottiglia da 50 centilitri senza etichetta. E’ la Fugace, l’ultima nata. Una pale ale in pieno stile britannico: piatta, senza schiuma, dal colore giallo paglierino carico. Affondo il naso nel bicchiere e mi viene subito in mente il viso di mia madre. Rimango sorpresa e perplessa. Annuso di nuovo e sorrido. Un complesso bouquet fruttato e floreale, in cui mi sembra di cogliere su tutti il profumo delle fresie. Giusto appunto uno dei fiori preferiti di mia madre. Al gusto la Fugace proietta direttamente in un pub londinese, con un amaro marcato ed equilibrato al tempo stesso; gradevolmente perdurante in bocca, con un retrogusto piacevole che dà una sensazione di freschezza e di pulizia del palato. Sarà pronta nei prossimi giorni.
Orazio e Massimo stappano un’altra bottiglia, senza perdersi un solo commento e una sola espressione di chi sta assaggiando le loro birre. Colgo sui loro volti l’attesa per il giudizio e i sorrisi che si sciolgono sinceri quando arrivano gli apprezzamenti.
Degustiamo per seconda la oOops, una ale dall’intenso colore ambrato e con un’abbondante schiuma compatta. Nella oOops i birrai Turan sono riusciti ad addomesticare una delle spezie più indomite, il cardamomo. Lo si avverte subito al naso, in una fragranza che si sposa con gli altri sentori erbacei che man mano emergono, facendogli da contorno. Al gusto si sente molto meno, mitigato da una addizione di luppoli che hanno saputo bilanciare il rischio di emersione del dolce.
Si chiude con la Sfumatura, una imperial stout, scura con una schiuma non intensa ma persistente. Gli odori sono quelli tipici - caffè, cioccolato, carruba – avvolti da un affumicato, che emerge più evidente al gusto, mescolandosi con i sapori dei bastoncini di liquirizia. Una birra che, malgrado la sua complessità, risulta essere più accessibile anche a coloro che non prediligono questo stile.
Dopo i tre assaggi il plauso è unanime e si guarda con curiosità al fermentatore che contiene la Tuscia, la birra che, dopo l’imbottigliamento, dovrà restare per sei mesi al buio nelle vecchie grotte etrusche e sarà pronta per i primi mesi del 2011. Sarà una birra da meditazione, da godersi in inverno, sul divano di casa propria, possibilmente in buona compagnia. Una di quelle birre da bere da sole, senza alcun abbinamento di cibo per poterne godere appieno.
«Forse, per gustarla bene, ogni birra dovrebbe essere bevuta da sola. Almeno per le prime volte». Il mio commento incontra il favore di Massimo che replica «E’anche per questo motivo che proponiamo per le nostre birre degli abbinamenti alternativi: non con piatti ma con canzoni».
Ecco, dunque, che tra quelle che abbiamo degustato, per la oOops viene suggerito l’ascolto di "Psycho Killer" dei Talking Heads e per la Sfumatura “Amico fragile” dell’immenso Fabrizio De André.
Un ultimo saluto a Massimo e Orazio e un “in bocca al lupo” per la loro prima presenza al Salone del Gusto di Torino per la fine di ottobre. Salutando il birrificio Turan e riprendendo la strada di verso Roma, avrei voglia di emulare il coppiere Martino e di lasciarsi alle spalle una scritta enorme, a monito per il cultori della birra: un “Est! Est! Est!” sulla porta del birrificio Turan.
Per saperne di più: www.birraturan.com
Maria Silvia Olivieri