Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
05/04/2011
Introduzione
L’ulivo è simbolo di fecondità, pace, purificazione, forza, vittoria, ricompensa. Si dice che l’ulivo di Atena, protettrice di Atene proprio grazie al dono dell’ulivo, fosse conservato all’Eretteo. Nella Bibbia Noè riceve la notizia della fine del diluvio universale vedendo tornare la colomba, da lui inviata, con un ramoscello d’ulivo.
Nell’Islam l’ulivo è considerato asse del mondo, simbolo dell’uomo universale e del profeta.
Nel rito cristiano della Domenica delle palme i rami d’olivo sono associate alle fronde di palma, portate a benedire dai fedeli nelle chiese. Cristo in greco significa “unto”, nel senso di benedetto e l’olio consacrato è utilizzato nel sacramento dell’estrema unzione.
Nel mondo europeo la triade braudeliana, composta da pane, vino e olio è una caratteristica delle principali civiltà che si sono susseguite nel corso dei secoli, anche se poi nella pratica delle cucine quotidiane si è panificato anche con mais, patate, avena, orzo, si è bevuta birra, si sono usati altri condimenti, come il burro, il lardo, un po’ per caso, un po’ per scelta, spesso per necessità.
A proposito dei condimenti, Pellegrino Artusi ha detto che “Ogni popolo usa per friggere quell’unto che si produce migliore nel proprio paese”, nel caso della Sardegna, come si vedrà, ogni famiglia allevava uno o più maiali domestici, da cui ricavare la provvista di carne, lardo e via discorrendo, mentre gli ulivi erano da sempre meno numerosi degli olivastri, su cui, specie gli Spagnoli, avevano innestato ulivi per ottenere una maggiore e migliore produzione olearia.
Breve storia dell’ulivo in Sardegna.
Tradizionalmente nella cucina popolare sarda l’olio di oliva è sempre stato usato parcamente, in quanto caro. La produzione locale non è mai stata abbondante, abbiamo tracce d’importazioni d’olio d’oliva dal Continente sin dal Trecento per tutta l’Età moderna. In cucina era piuttosto usato il lardo del maiale, dato che non c’era famiglia che non lo allevasse, e in aggiunta si utilizzavano le drupe dell’olivastro, assai più comune dell’olivo e in secondo luogo, specie nel sud ovest dell’Isola, l’olio ricavato dal lentisco.
Del resto anche nelle rimanenti regioni italiane l’olio, sino a non molti decenni fa, era appannaggio delle élite. Solo con la scoperta o l’invenzione che dir si voglia della cosiddetta dieta mediterranea l’olio è entrato prepotentemente nella dieta dell’Italiano medio.
A Settecento inoltrato incontriamo il primo trattato organico di agricoltura, scritta dal sassarese Andrea Manca dell’Arca che enumera, tra le altre cose, anche le varietà coltivate localmente: sevigliane, majorchine e genovesi, cui si aggiungevano i tipi corruddi e colombini. (p. 179). Inoltre descrive il modo di produrre olio (p. 189) e di confettare le olive (p. 193).
I principali alimentari usi dell’olio d’oliva (in sardo ollu armànu, con le sue varianti) consistevano nell’impiegarlo come condimento, per insaporire e per friggere i cibi; le olive, confettate e aromatizzate venivano usate in svariate occasioni. La versione sarda (sa kapponada) della capponata genovese esigeva delle belle olive grandi e mature.
Una curiosità: l’olio di lentisco (ollu ‘e stincu)
Il frutto del lentisco veniva raccolto in inverno quando le bacche erano mature; queste venivano pulite, fatte bollire, schiacciate, l’olio ottenuto veniva fatto bollire e colato più volte per togliere progressivamente le impurità. Il sapore è molto aromatico, adatto, al giorno d’oggi, per friggere o condire cibi dal sapore delicato, come formaggi freschi, seadas, e dolci simili.
Le olive a scabecciu
Le olive a scabecciu (italiano scapece, spagnolo escabèche probabile secondo alcuni l’orgine araba nel nome çicbech) sono un alimento tradizionale. La tecnica è utilizzata in diverse località del Mediterraneo per conservare il pesce. Si fanno tre tagli verticali alle drupe, si cospargono di sale e si lasciano così tre giorni, togliendo l’acqua ogni 24 ore e aggiungendo sale se occorre. Poi si asciugano, si portano a ebollizione aceto e vino bianco e s’immergono senza farle cuocere, infine si prepara un soffritto con aglio prezzemolo e olio e si invasano.
Bibliografia consultata
J.Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Milano, Rizzoli, 1986.
AA.VV., Storia dei Sardi e della Sardegna, volume III, l’Età moderna, Milano, Jaca
Book, 1989.
Andrea Marca dell’Arca. Agricoltura di Sardegna, Cagliari, Cuec, 2000 (ed.orig. 1780).