Chiacchierando di gusto

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse…

di Nazzarena Barni Fritsch

20/09/2011

Il festival letterario Marina Cafè Noir, www.marinacafenoir.it  svoltosi da giovedi 15 a domenica 18 settembre a Cagliari, si è concluso nella serata finale con un intervento che potrebbe definirsi, allo stesso tempo, di carattere sociale e gastronomico. Questa volta non si parlava di grandi chef, ma chi ha dettato e realizzato le ricette, che potrebbero definirsi ricette della memoria, sono i carcerati della casa circondariale di Alessandria, durante un workshop foto-gastronomico voluto e condotto nel 2009-2010 dal fotografo Davide Dutto e dal giornalista Michele Marziani. Gambero nero: Ricette dal carcere è il nome del libro, in cui l’associazione tra la parola gambero, che dà una garanzia di ricercatezza gastronomica, e il nero, inteso come tocco noir del brivido, del drammatico, del crimine, si associano in una autoironia “liberatoria”. Il libro è una raccolta di foto che raccontano la vita dei detenuti fra le mura di un carcere, al di fuori dalla normalità, allontanati dalla società e dimenticati, e una raccolta di loro ricette, originate da culture diverse, visto che nelle carceri italiane il 70% dei detenuti sono di origine straniera. In questi luoghi, molto forte è l’influenza di diverse culture e la possibilità di preparare i pasti per i compagni di cella secondo le loro ricette è motivo di gratificazione e riscatto per individui accolti malvolentieri da una società sempre più xenofoba e a “piede libero”.

“A differenza di quello che ci viene presentato nei film di ambientazione carceraria, nelle carceri italiane non c’è un’enorme refettorio, ma i tre pasti della giornata vengono consumati dai detenuti nelle loro celle”_ racconta Davide Dutto, promotore di un primo progetto solo fotografico nel 2005 nel carcere di Fossano _ “e questo già tende a trasformare il microcosmo di una cella in una specie di famiglia, anche se forzata, dove si può impazzire, si può incattivirsi oppure si cerca il conforto nella quotidianità delle piccole cose, nel consumo del cibo non solo per sopravvivenza ma anche come socializzazione, nella solidarietà della spesa fatta in comune e nel ricoprire un ruolo gratificante preparando il pasto per tutti. Sedersi insieme intorno a un tavolo permette a questi uomini di “evadere” dalla triste realtà del carcere, anche se mette a dura prova il loro ingegno nel trovare soluzioni a necessità banali. Quando si pensa a una cucina si pensa a un minimo garantito di attrezzatura, un lusso impensabile in cella, dove si cucina su fornellini da campeggio e esistono pochissimi utensili. Ogni detenuto lascia in eredità qualche semplice attrezzo e oggetti d’uso normale vengono vietati per ragioni di sicurezza, per cui si sopperisce con l’ingegno a situazioni di totale inadeguatezza. Se i coltelli non sono ammessi, si userà il filo tagliente del coperchio di una lattina di pomodori, curvandole il bordo per dare appoggio al dito e così si affetteranno cipolle e si taglierà la carne. Una doppia padella riuscirà allo scopo di cuocere la pizza di cui Ciro, il napoletano dalla lunga “carriera”  iniziata in riformatorio, si fa vanto, mentre la magnifica lasagna del calabrese Bruno avrà come forno la carta stagnola che racchiude come in una camera d’aria il calore dell’acqua che bolle. Piccoli espedienti perché la necessità aguzza l’ingegno.

Problemi culturali di incompatibilità culinaria non esistono quasi mai, se il cibo è buono e sostanzioso. Davide Dutto racconta come un piccolo problema di incomprensione culturale sorse quando un anziano detenuto piemontese si lamentò della mise en place dello chef in carica quel giorno tra i compagni di cella, un filippino, che preparò per tutti un piatto unico molto saporito con riso, piselli carne e altre verdure brasate. “Dove è il primo, il secondo, il contorno? Cosa è questa roba tutta insieme?” _chiese l’anziano carcerato. Con grande pazienza il filippino ritornò al lavello, prese tre piatti, in uno ci passò il riso, nell’altro la carne con il sugo, piselli e verdure in un terzo piatto. Lo porse al vecchio gentilmente, con pazienza, senza parlare”.

Nella raccolta di ricette ci sono primi, secondi, e anche dolci. I detenuti amano fare torte, un surrogato di dolcezza in un posto che ne è carente. Nessun antipasto, invece: con tutto il tempo che hanno a loro disposizione non amano aspettare, prima che si arrivi alla sostanza, lo sentono come una presa in giro, il sottolineare che tanto loro di tempo a disposizione ne hanno…..

Benché all’interno delle carceri esista uno spaccio alimentare con tanto di lista di cibi acquistabili, non tutti sono consentiti e già possiamo eliminare, per iniziare, il pesce e il vino come ingrediente, al posto dell’olio e del burro viene usata la margarina, più reperibile e più economica, ma quello che rimane è che sono piatti saporiti, sostanziosi, GRATIFICANTI. Belle ricette, neanche cosi basic come si penserebbe, e con piccole varianti da provare a casa per assecondarle alle nostre esigenze più raffinate. Per la serata finale lo staff dei volontari di Marina Caffè Noir ha preparato in grandi pentoloni da rancio, usando una cucina da campeggio così come in uso in quasi tutte le celle, un piatto molto aromatico e saporito.

La ricetta presentata era una harina, piatto tipico magrebino molto apprezzato durante il Ramadan dai detenuti di religione islamica e accolto con piacere anche dagli altri compagni di cella. Cipolla, molto sedano, carne di manzo e di montone, a metà cottura pepe e peperoncino, pelati e ceci. Una pastella di farina e acqua, per addensare, viene aggiunta negli ultimi dieci minuti. Una cottura lenta e lunga, che riempiva di profumo l’aria di piazza San Sepolcro e distraeva i partecipanti agli ultimi interventi. A conclusione, degustazione collettiva, prima e durante il folle e coinvolgente contributo musicale dei Bandaradan. Tanti i curiosi degustatori, fila ordinata, ce n’era per tutti. Era un piatto corroborante e saporito e ci ha reso felici e in qualche modo, molto, molto liberi in quella notte tiepida di fine estate.

Dopo questa esperienza “carceraria” Davide Dutto ha dato vita all’associazione Sapori Reclusi www.saporireclusi.org