Saperi e sapori

Sua maestà lo zafferano sardo

di Alessandra Guigoni

19/11/2011

Lo zafferano a San Gavino lo chiamano semplicemente “su frori” e il perché è presto detto: è un fiore che da decenni permette una certa integrazione al reddito ai sangavinesi, e in alcuni casi ha consentito il salto nel mondo dell’imprenditoria locale, come è successo ad alcuni stimati imprenditori agricoli, fautori convinti del conferimento della DOP allo zafferano locale. Inoltre è uno dei marcatori identitari e culturali della zona, impensabile non coltivarlo, e non usarlo in cucina, quasi quotidianamente.

Lo zafferano di San Gavino, Villanovafranca e Turri è Dop dal 2009, e in particolare lo zafferano di San Gavino è anche un presidio Slow Food da alcuni anni.

Ancora adesso i giorni o il giorno di massima fioritura vengono definiti “su grofu”, e quando ciò succede chi lo coltiva chiede ad amici e parenti di aiutarlo a raccogliere il fiore, nelle prime ore della giornata, e a mondare gli stimmi, nelle cucine di casa.

Si fa ancora tutto a mano, come cento anni fa, dalla raccolta alla mondatura, all’essicazione, all’invasettamento.

E’ un colpo d’occhio piacevole vedere nella campagna del Medio Campidano tra ottobre e novembre così tanti piccoli appezzamenti coperti di piccoli fiori viola, viola zafferano appunto, tra i filari di viti, gli orti spogli, invernali, le siepi di fichidindia e le rotaie della non lontana ferrovia.

La sua storia culturale dell’”oro rosso” però ha radici lontane.

A parte il periodo romano, di cui non si sa quasi nulla, e in cui si ipotizza venne introdotto sull’Isola, lo zafferano in Sardegna venne introdotto verosimilmente dai monaci Basiliani nella zona di San Gavino, nel XI secolo, dove sorgeva il convento di Santa Lucia, nell’area esiste ancora oggi toponimo “los horts de S.ta Luxia”; alcune fonti mostrano nell’arco dei secoli l’ascesa e il declino di questa coltura sino al XIV secolo quando gli Spagnoli, con alterne fortune, promossero la sua coltivazione. Una fonte anonima piemontese del XVIII secolo riferisce per la Sardegna che “In alcuni luoghi si ha de zafrano bellissimo” e nella prima metà dell’Ottocento le decime parrocchiali sullo zafferano in alcuni paese sardi rendevano parecchio, segno che la coltivazione ormai era ben consolidata.

Oggi in Sardegna complessivamente si coltiva il 77% della produzione italiana, ben 35 ettari di zafferano di cui 20 solo a San Gavino, 8 a Turri e 2 a Villanovafranca. La Dop rappresenta una grossa opportunità per le aziende coltivatrici, perché la certificazione è un passo fondamentale per stare in un mercato internazionale sempre più competitivo sui prezzi; dimostrare, dati alla mano, le ottime qualità organolettiche e chimiche dello zafferano sardo è un punto di partenza per le sfide globali che lo attendono nel prossimo futuro.

Come si utilizza? Lo zafferano si sposa bene con la carne, il pesce, le paste fresche, tradizionalmente nella cucina sarda si usa un pizzico di zafferano nelle formaggelle dolci (pardulas), per colorare e insaporire le zeppole, i ravioli di verdura, i sughi di pomodoro e salsiccia e altro ancora.

Bibliografia e sitografia consultata

G. Addari, Zafferano. Storia, storie e società di San Gavino Monreale e del suo fiore, Edizioni Fiore, 2009.

A. Casti, Lo zafferano di San Gavino Monreale, Cuec, 2006.

 

 

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