Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
17/01/2012
Giuseppe Quintarelli ci ha lasciati domenica. Ho voluto scrivere un personale ricordo di un grande uomo e di un vignaiolo che rimarrà sempre nel mio cuore.
La vita degli uomini si legge sempre dai segni lasciati nella storia. El Bepi de Negrar ha lasciato in tutti noi l'emozione della vita. Lo ha fatto in silenzio tra le mura amate della propria dimora a Cerè. In mezzo ai marmi e i calcari della maestosa Valpolicella ha raccontato al mondo come si è vignaioli nell'anima. Bepi non amava le luci, i bagliori del successo, il suo rapporto con la natura era poetico e spirituale. Un legame forte segnato dal rispetto e dalla gratitudine. Più che il re il padre testamentario della Valpolicella storica, colui che l'ha resa icona ma allo stesso tempo patrimonio dell'umanità. Un patrimonio che il Bepi ha sempre cercato di raccontare con schiettezza, originalità, umiltà e fervore. Uomo di altri tempi che ha regalato modernità alla Valpolicella e ha saputo essere lungimirante e illuminante per la sua contemporaneità stilistica. Sdoganatore di un'idea di vino obsoleta e tecnicista e che perdeva di vista l'evocazione emotiva dell'uomo e del suo territorio. I suoi vini erano stati d'animo, ricerca spasmodica della belleza, dell'equilibrio, dell'eleganza. Erano il suo cuore, la sua sensibilità, i suoi occhi così dolci che nascondevano un temperamento straordinario e deciso. Il suo vino era decisamente "un canto verso il cielo!" come affermava un suo veneratore Gino Veronelli. Raccontava Gino che, davanti al Bepi l'emozione era sempre tanta e l'unica cosa spontanea che ti veniva era di inchinarsi al mito. Ma lui è stato anche un rigido conservatore del valore geografico della Valpolicella e lui sì, cultore del terroir, o come si dice da queste parti "dela tera!". Dalla sua casa a Cerè tra olivi e vigne osservava tristemente la cementificazione della valle e delle dorsali che lo aveva cullato e guardava alle vicende della denominazione sempre con molta criticità. La sua presenza è rimasta un monito per tutti i giovani produttori che hanno inseguito i propri sogni e allo stesso tempo un faro, un punto di riferimento severo e ambizioso. Uno su tutti Romano Dal Forno che racconta di una bottiglia di Amarone di Quintarelli su uno scaffale di un bar e di dovere tutto a quell'incontro che gli ha cambiato la vita e l'idea di vino. "Non ho dormito la notte per un bel po', tanto ero affascinato da quel nettare e volevo capire come ci si potesse arrivare. Per me non era un vino era un'idea di perfezione!". Per noi che scriviamo di vino un insegnamento irripetibile come pochi altri grandi vignaioli nel mondo. La sua scarna essenzialità era straordinaria saggezza. Più che il verbo a Giuseppe piaceva il sudore della fronte, il fare. La sua vita è stata un'avventura straordinaria finita ordinariamente come la voleva lui, tra le mura di casa con la sua amata famglia, il profumo del mosto e i dolci sospiri delle foglie accarezzate dalla brezza della Valpolicella. Le sue vigne lo piangono oggi e lo ringraziano, a loro ha dedicato tutta la sua vita, nel suo cuore le conosceva per nome e sapeva di ognuna carattere e salute. Sosteneva la più debole e stringeva tra le mani la più vigorosa. Giuseppe Quintarelli ha regalato a tutti noi un pezzettino del suo sogno, ad ogni sorso del suo vino lo si incontrava nel cuore.
Dio ci ha donato il Bepi e dalle sue mani abbiamo provato il sapore del Paradiso.