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VINITALY: Le riflessioni di Piero Valdiserra aspettando l'inaugurazione dell'edizione 2012

di Piero Valdiserra

21/03/2012

morguefile.com

Parafrasando o quasi una vecchia canzone di Francesco Guccini, un altro anno è andato e la sua musica ha finito: e noi siamo di nuovo qui a parlare di Vinitaly. Tranquilli, non vi annoieremo con le solite statistiche e con le solite dichiarazioni roboanti su spazi espositivi pieni all’inverosimile, aziende in crescita del tot percento, visitatori in aumento, operatori esteri in arrivo da tutto l’orbe terracqueo. Tutte cose vere, per carità, ma anche tutte cose che conoscete benissimo.

No, stavolta vorremmo richiamare la vostra attenzione su poche cose. Poche cose, tre per la precisione, che ci stanno più a cuore. Come avrebbe detto Steve Jobs, tre cose, tutto qui, niente di eccezionale: solo tre cose…

Punto primo, e si tratta di una novità. Forse la novità principale di quest’anno: Vinitaly cambia la data e cambia la cadenza settimanale. La fiera veronese tradizionalmente si svolgeva all’inizio di aprile, con apertura il giovedì e chiusura il lunedì della settimana successiva. Dall’edizione 2012 si parte domenica 25 marzo e si arriva mercoledì 28 marzo. In sintesi:

  • manifestazione più corta di un giorno;

  • non più a inizio aprile ma a fine marzo;

  • non più giovedì – lunedì ma domenica – mercoledì.

Non siamo indovini, ma azzardiamo una previsione. Per i visitatori italiani (che, non dimentichiamolo, sono il 70% del totale) potrebbe trattarsi di un peggioramento. Fino all’anno scorso infatti il taglio del nastro al giovedì consentiva un avvio “dolce” della rassegna, con il pubblico professionale che poteva concentrarsi, e in larga parte lo faceva, nei primi due giorni; lasciando poi il fine settimana all’afflusso e alla legittima curiosità di un pubblico più grande e meno specializzato. Quest’anno Vinitaly apre i battenti di domenica, e la partenza è quindi necessariamente bruciante e promiscua: tutti insieme appassionatamente, cioè, addetti ai lavori, dilettanti allo sbaraglio e semplici beoni. Con prevedibili, maggiori ingorghi nei padiglioni, e in sovrappiù con un giorno in meno a disposizione (4 anziché 5).

Il tutto, lo avrete capito, ci lascia molto perplessi. Dal Vinitaly la vedono diversamente: il cambiamento è stato pensato per favorire l’accesso degli operatori professionali internazionali, che avranno più giorni di rassegna (dicono proprio così a Verona, più giorni: come questo sia possibile quando i giorni calano da 5 a 4 non è dato saperlo) per incontrare le aziende espositrici.

In buona sostanza, sull’esempio di altri saloni esteri, si è preferito partire nel fine settimana. Qualche amico e collega, da noi interpellato, ha commentato che l’edizione 2012 avrebbe potuto essere un’edizione “di prova”, salvo poi fare marcia indietro se i fatti non avessero dato ragione agli organizzatori. Ma gli organizzatori sono partiti in quarta, decisi come pompieri, avendo in mente le abitudini di visita degli stranieri. Anche se siamo in Italia.

E questo introduce il nostro secondo punto. Vinitaly, corre l’obbligo di sottolinearlo, pensa soprattutto ai mercati esteri. Che c’è di male, direte voi, se il colosso delle fiere veronesi issa orgoglioso la bandiera tricolore sul mondo del vino? Niente di male, naturalmente, anzi è magnifico se viene promossa sempre più a livello internazionale la produzione italiana, vero punto di eccellenza del nostro settore agroalimentare. Ma questo non deve far dimenticare il mercato interno, che bene o male rappresenta ancora il primo polmone delle aziende vitivinicole del nostro Paese. Un mercato, quello interno, che negli anni è stato flagellato da campagne antialcoliche scriteriate e suicide, è stato annichilito e intimidito dalla legislazione sulle patenti a punti, ed è stato infine massacrato dalla crisi economica generale. Con il risultato che i consumi domestici sono precipitati rapidissimamente, nell’indifferenza generale. Volete una prova? Andatevi a prendere le dichiarazioni dei responsabili di Vinitaly, del loro ufficio stampa, dei loro reparti marketing e promozioni, per non parlare di tutta la stampa di settore in coro: tutti quanti a osannare le magnifiche sorti e progressive dei mercati esteri, nessuno o quasi a occuparsi dei consumi italiani. E sì che siamo da millenni il Paese del vino, il Paese che non solo fa ma anche beve vino. O dovremmo forse dire: beveva?

Il nostro terzo punto, a chiusura di queste considerazioni di commento, vuole però essere improntato all’ottimismo. Vinitaly, con i suoi numeri da primato, resta comunque una realtà incrollabile; anzi, si rafforza sempre più. 4.200 espositori, 156.000 visitatori, di cui 48.000 stranieri da oltre 110 Paesi. Quest’anno viene inaugurato anche lo spazio dedicato ai vini biologici e biodinamici. Una dimostrazione impressionante di forza e di vitalità economica. E un’ eccezione rimarchevole nel panorama fieristico nazionale. Forse non tutti sanno infatti che le fiere sono ormai un settore in declino strutturale, come le acciaierie, i cementifici e gli zuccherifici nei decenni scorsi. Un settore che ha subito e subisce la concorrenza silenziosa e terribile delle nuove tecnologie (internet in testa), che rendono sempre meno conveniente spender tempo e denaro per visitare una rassegna espositiva. Nonostante ciò, e nonostante tutto, Vinitaly resta un pilastro imprescindibile, e rappresenta a sua volta – a dispetto delle sue tante pecche – un ulteriore punto di eccellenza del sistema Italia. Teniamocelo stretto, dunque, anche se per un verso o per l’altro può farci venire qualche mal di pancia.

Abbiamo aperto con Guccini e vogliamo chiudere con Dalla. Diceva il piccolo grande Lucio: la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione, e tutti quanti stiamo già aspettando. Confidiamo che il nuovo anno del vino, che il Vinitaly 2012 andrà a suggellare, porti a tutti gli operatori, grandi e piccoli, di massa o di nicchia, italiani o stranieri, un segnale di speranza. Di cui tutti abbiamo veramente bisogno.