Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
19/05/2012
Necessitava salire su, fino alla meta. E dall’alto vedere. Per poi osservare anche le altre cime e trarre le opportune conclusioni. Così da avere un metro di valutazione coerente per analizzare anche tutto il resto. Per tutto ciò che è sotto, vicino, alla pari, e per quello che verrà.
Era da diversi anni che meditavo il mio viaggio all’ Osteria Francescana. La prima volta che sentii parlare di Massimo Bottura fu sei anni fa, da un attento e tra i più competenti chef sardi, Achille Pinna. Mi parlò del modenese e di ciò che si sarebbe prospettato. Cominciai a seguire i suoi movimenti, osservando la sua costante umile ascesa. Nel 2011 viene eletto da “the world’s 50 best restaurants” come miglior chef al mondo dai propri colleghi. Successivamente riceve le tre stelle Michelin e nel 2012 è il quinto miglior ristorante al mondo sempre per “the world’s 50 best restaurants”.
Il personaggio Bottura e la sua cucina meritano ulteriori approfondimenti, non sono sufficienti alcune ore per comprendere il grande lavoro di tempo, pensiero, studio, ricerca, tecnica e sperimentazione. E’ imprescindibile l’utilizzo di eccellenti materie prime che portano alla creazione di numerosi equilibri di gusti, forme, consistenze e inconsistenze. Miscugli di molteplici ingredienti con maestria ricondotti alla perfetta armonia, pregevoli alimenti spogliati della loro consueta forma tangibile e portati a un aspetto che accarezza il surreale. Millimetrici fondamentali dosaggi capaci di modificare le percezioni del gusto di un intero piatto. Mi trovo davanti ad un susseguirsi di quelle opere d’arte commestibili a me tanto care. In questo caso oltre ad esprimere un concetto artistico attraverso la forma, sembra queste siano dotate di leggeri pensieri che attraverso reminiscenze gustative hanno la capacità di far emergere quei ricordi appartenenti alla nostra memoria personale.
Il ricordo di un panino alla mortadella, è una leggera spuma, morbida e profumata, dal gusto persistente e delicato. La sua inconsueta consistenza che la distanzia dall’abituale forma, facilita un piacevole e lieve ricordo della mia infanzia, quando a scuola aprendo la cartella venivo inebriato dal profumo della mia merenda, che precedentemente mio padre aveva preparato nella sua bottega. Dietro un piatto apparentemente semplice c’è una grande ricerca, nel predisporre un eccellente prodotto da parte di alcuni artigiani selezionati, attendere il suo perfetto maturare per poi trasformarlo e mostrarne l’anima. Si ottiene dell’acqua di mortadella ponendo alcune fette della medesima in un distillatore, successivamente viene unita alla mortadella stessa e frullata, ottenendone una crema. Dopodiché il composto viene inserito in un sifone e montato, per poi conseguirne una spuma.
Il croccantino di foie gras, mandorle di Noto nocciole del Piemonte e cuore di aceto balsamico tradizionale di Modena, è esemplare nella morbidezza del foie gras marinato nel calvados, ben contrapposto alla croccantezza del suo involucro, composto di ottime mandorle dolci e amare di Noto, nocciole Piemontesi tostate, dolci e salate. Nel gustare, dopo il primo impatto delle differenti consistenze, vi è un piacevole, giusto contrasto con lo strepitoso aceto balsamico extravecchio inserito nel cuore. La dolcezza si evolve assumendo complessità, ben sostenuta dall‘acidità. Finale lungo e piacevole. La particolarità è anche data dal voler richiamare un blasonato gelato. Dunque ci si aspetta una temperatura decisamente più fredda e una maggiore durezza. Inevitabile anche in questo caso l’associazione ai propri personali ricordi.
Il Tortino di porri, scalogni di Romagna, tartufi delle colline bolognesi, sale marino di Cervia, è un piatto armonico e persistente con un buon equilibrio delle sapidità e i sentori della terra Emiliana, delle sue radici. Piacevole il tartufo ben armonizzato con tutto l’insieme.
Le cinque stagionature del Parmigiano Reggiano in consistenze e temperature, è un piatto straordinario. C’è tutto. Equilibrio delle sapidità, consistenze, contrapposizioni, temperature, tendenza dolce, leggerissima tendenza amarognola, croccantezza, morbidezza. E il tempo. E il silenzio. Presupposti fondamentali per cinque eccellenti stagionature. La crema liquida è ottenuta da una stagionatura di ventiquattro mesi con le bucce, i demi sufflè dei parti destri trenta mesi, la spuma a sinistra trentasei mesi, la galletta croccante quaranta mesi e l’aria cinquanta mesi.
La compressione di una pasta e fagioli, é l’avveniristica rivisitazione di un grande classico della tradizione italiana. Celati in un’apparente semplicità, vi sono diversi complessi strati. Si parte dal basso con una crema di cotiche e fagioli veneti frullati con un po’ di foie gras e albume d’uovo, riposto nei bicchierini e cotto per quaranta minuti a novanta gradi. Lo strato successivo è formato dalla parte bianca del radicchio, la più amara, tagliuzzato e passato in padella con del vino. Si ottiene una diversa consistenza e temperatura dal primo. La terza parte è un forte richiamo alla tradizione, la crosta del parmigiano viene bollita insieme ai fagioli e grattata per farne scaglie. Il quarto strato è una crema di fagioli frullata e passata. A coronare il tutto la spuma d’acqua di rosmarino.
Come mangiare il cotechino con le lenticchie 365 giorni l'anno. Per questo piatto mi viene in mente un libro letto ultimamente, per il quale nel finale rallentavo la lettura così da prolungarne la durata, tanto era piacevole leggerlo. Idem per questo gradevole piatto. Se la porzione fosse stata più abbondante, non mi sarebbe dispiaciuto affatto. Perfetta la pasta. Come le lenticchie e il cotechino.
Lo scoglio. Che cosa dire di questo piatto. Che si ha veramente la sensazione di addentare uno scoglio di mare. Quello vero, di pietra. Con tutto il suo contenere di alghe, frutti di mare, odori, profumi, mineralità. Un piatto che ha nel suo degustare una curiosa irruenza, che perfettamente replica nel gusto, quelle sensazioni olfattive che tante volte abbiamo percepito avvicinandoci a uno scoglio di mare. La consistenza è spugnosa, emerge la grande tecnica e ricerca. Piatto oltre, avanti, a mio parere per chi ha già sviluppato una certa complessità gastronomico-gustativa.
Il Baccalà e profumi di Pantelleria. Una nota di merito è per l’eccellente, perfetta cottura di questo baccalà, dove la tendenza dolce dello stesso è precisamente contrapposta alla sapidità e acidità della passata, dalla quale emergono tante sensazioni. Predominati le olive e i capperi, ma percepisco diverse speziature oltre che una varietà di altri ingredienti che Massimo mi dice, e per i quali vi è come per tutto il resto, grande ricerca e complessità nell’assemblaggio. Un illustre piatto. Il baccalà gode di ottima compattezza, anche questa sapientemente contrapposta al suo liquido contorno.
La faraona non arrosto. Il Piatto mi viene servito al tavolo, e appena dopo arriva Massimo con il profumo dell’arrosto al forno della domenica mattina, avvolgendo il tavolo con una piacevole fragranza. Spinaci appena scottati e sottocoscia farcito con le frattaglie della faraona precedentemente saltate in casseruola e frullate. Crema di faraona con il fuso laccato, e infine il petto della faraona viene accostato alla crema di patata con tartufo nero. Pietanza interessante, dalle diverse consistenze e peculiarità gustative.
Iceland è parecchio rinfrescante, particolare è la sua meringa ghiacciata alla mela verde, per la quale riscontro una consistenza simile alla neve, anche nella temperatura. Alla base, frutti rossi di bosco, radici, foglie, nocciole e tartufo. Eccellente pre-dessert.
Oops... mi è scivolata la crostatina, è la divertente versione di Bottura della crostatina al limone. Con l’ottima pasta frolla e crema di limone vi è del gel di cedro e crema all’arancia. E’ da evidenziare l’equilibrio e la persistenza dei sapori, in particolare del limone. Il gusto è piacevole e non stucchevole. Ottima.
Macaron tra dolce e salato: foie gras, polvere di radici e tartufo. Emerge palese il perfetto equilibrio di dolce, tendenza dolce e sapidità. Eccellente. Buona anche tutta la pasticceria mignon.
Caratteristico aspetto della genialità è tradurre un immane complesso lavoro in apparente semplicità. In alcuni frangenti si ha la sensazione che l’anima del cibo lasci il proprio corpo per smaterializzarsi in essenza stessa di gusto e nutrimento. Il compiaciuto consumatore viene così invitato a incanalarsi attraverso un percorso di preziose consistenze e complesse tangibili inconsistenze, di assolute armonie di sapori, e aspetti . Così da vedere affiorare l’anima del cibo desiderosa d’incontrare quella del cliente. Questa è a sua volta sollecitata a percorrere piacevoli rimembranze attraverso ricordi legati a quelle percezioni di gusto immagazzinate nel proprio subconscio, che con gradito e giocoso stupore non trovano la consueta associazione con l’abituale forma corrispondente. Altresì in alcuni momenti si ha la sensazione di oltrepassare la soglia materiale per intraprendere un viaggio interiore nel quale si viene ricongiunti, con l’universale eternità, alla quale in fondo, noi tutti apparteniamo e dove emerge con chiarezza che l’immateriale è parte integrante del materiale. Questa cucina è un passo avanti oltretutto il resto. E’ nello stesso tempo nutrimento per il corpo e lo spirito. In tutto ciò vi è la geniale capacità, attraverso l’umiltà, di condurre l’essere umano verso maggiori livelli di percezione e conoscenza.
www.osteriafrancescana.it
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tel.059 210118
Pietro Pio Pitzalis – www.reportergourmet.com