Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
05/03/2007
Sambuca di Sicilia, meno nota con l’antico nome di Zabut, impostole dall’emiro musulmano che conquistò l’antico casale di Sambucina, è conosciuta per un tradizionale dolce, arrivato fino ai giorni nostri, con l’arcaico appellativo di “Minni di virgini”, seni di vergini. Questa ghiottoneria è la massima espressione della fantasia dolciaria di queste terre del sud, i cui retaggi culturali ed una morale cattolica non hanno mai varcato determinati steccati dell’impudicizia. L’invenzione di questo mirabile dolce lo si deve ad una spiritosa suora, alla quale va dato il giusto riconoscimento, attraverso l’iscrizione dell’ accattivante pasta nel “registro dei brevetti”. Ma veniamo alla storia. Il dolce é legato indissolubilmente alla Sambuca-Zabut del XVIII secolo, ed in particolare alla nobile famiglia Beccadelli. Donna Francesca Reggio, divenuta Marchesa di Sambuca per aver sposato Don Giuseppe, in occasione delle nozze dell'unico figlio Pietro, la nobil donna, chiese a Suor Virginia Casale di Rocca Menna del collegio di Maria «di mettercela tutta per escogitare le novità assolute nei campi di loro competenza e, tra questi, nel campo della dolciaria». Nell’anno 1725, la suora creava una delle più soave paste della pasticceria siciliana e di cui lo storico locale Di Giovanni riporta l’espressione della religiosa riguardo la sua creazione: «Guardavo questa mattina dalla finestra della mia stanzetta le colline che si susseguono dalla Valle dell' Anguillara sino alla collina del Castellaccio e alla costa della Minnulazza. La forma delle colline mi ha suggerito che noi dovremmo presentare ai marchesi un dolce che abbia la forma e, in quanto al contenuto porti la dolcezza di questa terra. Insomma un dolce paesano, ma prelibato, fine che susciti nel momento del degusto l'istinto del sentimento, ed elevi al tempo stesso lo spirito». Giuseppe Tomasi di Lampedusa, attraverso l’impareggiabile principe Salina, nel suo famosissimo romanzo “il Gattopardo”, farà così commentare quel soave dolce frutto delle magiche “Terre del Gattopardo”, di cui Sambuca, dista pochi chilometri da Palazzo Cutò di Santa Margherita Belice, dove è stato ambientato l’omonimo romanzo: «parfaits rosei, parfaits sciampagna, parfaifs bigi che si sfaldavano scricchiolando quando la spatola li divideva, sviolinature in maggiore delle amarene candite, timbri aciduli degli ananas gialli, e "trionfi della Gola" col verde opaco dei loro pistacchi macinati, impudiche "paste delle Vergini». Di queste, Don Fabrizio si chiedeva: «Come mai il Santo Uffizio, quando lo poteva, non pensò a proibire questi dolci?» . Immaginate cosa avrebbe detto il simpatico Principe al cospetto delle siliconate, più o meno note signore o delle super maggiorate soubrettes che ai giorni nostri esibiscono orgogliosamente i loro prosperosi seni. Suor Virginia descrisse gli ingredienti ed il metodo di ottenimento del dolce: «Farina, uova, latte, lievito. Si compone una pinna di pasta tonda come una luna piena; al centro si accumula un po' di tutto: cose, comunque, che debbo studiare con attenzione: non dovrebbero mancare la zuccata, la crema, l'essenza di garofano e di cannella, qualche pezzo di cioccolato e... quant'altro mi ispirerà il Signore... Vedrà che ci riusciremo a fare un dolce sensitivo». Se qualcuno volesse accostare i Minni di virgini ai Minnuzzi di Sant’Ajta, dolce tipico catanese, farebbe un errore grossolano, poiché, quest’ultime paste, sono ripieni interamente di zuccata frammiste a mandorle finemente tritate, ricoperti da <