Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
18/10/2007
GNAM (Gastronomia nell’Arte Moderna) FOODSCAPES – ART & GASTRONOMY mostra d'arte contemporanea Parma, ex Cinema Trento, 7 ottobre 2007 – 6 gennaio 2008 Pochi gesti sono così semplici, immediati eppure complessi come l’atto del mangiare. Non stupisce quindi che più di 40 artisti internazionali abbiano voluto misurarsi con quell’atto. Le loro opere comporranno “Foodscapes – Art & Gastronomy”, la grande mostra d'arte contemporanea che sarà allestita a Parma, città che della gastronomia è la capitale naturale, nei locali dell'ex Cinema Trento, a cura di Lóránd Hegyi, critico internazionale e direttore del Museo d'Arte Moderna di Saint Etiénne. L’esposizione, che sarà aperta al pubblico dal 7 ottobre 2007 al 6 gennaio 2008, presenta un vasto orizzonte di opere d'arte che riflettono, appunto, il complesso tema del mangiare, fornendone un contesto storico, antropologico, sociologico e culturale. Questa fondamentale seppur banale, naturale, elementare attività implica ed evoca riferimenti illimitati, di tipo sociale, culturale, linguistico, politico, ideologico, religioso, antropologico, medico, clinico e va a toccare zone particolarmente sensibili, tabù, territori proibiti, contenuti nascosti ed inconsci, che sono condizionati dal contesto culturale e storico e determinati dall'educazione. In questo senso, l'atto di mangiare sembra essere più culturale che biologico; più metafisico che fisico; più metaforico che reale. Benché sia strettamente necessario alla vita, benché sia esso stesso vita, benché sia parte delle attività umane fondamentali ed essenziali, l'atto di mangiare è una delle attività umane più potenti e complesse: è l'attività che in se stessa ha a che fare con la fondamentale ed elementare auto-riproduzione, così come con la socializzazione e la comunicazione dell'individuazione metaforica dell'esistenza umana in quanto attività strutturata, organizzata, teologica, razionale, nell'universo. La mostra sarà strutturata in diverse sezioni tematiche, basate su diversi contesti di riferimento. Da un lato, ci sono contesti culturalmente, storicamente, ideologicamente, religiosamente condizionati nei quali l'atto di mangiare si trasforma in un'entità profondamente metaforica. La sacralità e il carattere rappresentativo del cibo, le formalità cerimoniali, l'estetica di potere e ricchezza, la gerarchia ed il complesso e differenziato sistema di esclusività ed inclusività, l'accettazione o il rifiuto sociale, la posizione centrale o la marginalità costituiscono momenti cruciali in questi contesti. D'altro canto, l'atto di mangiare è – e tuttora rimane – qualcosa di barbaro, animale, incontrollabile, qualcosa di distruttivo, inconscio, spontaneo, anarchico, immediato, bestiale, un'attività immorale che dà ampio spazio a processi irrazionali, spontanei, illimitati, irreversibili, ad absurdum fino al cannibalismo e all'auto-distruzione più oscena, all'auto-mortificazione simile al suicidio ed all'edonismo che va oltre l'esagerazione. Quest'aspetto patologico dell'atto di mangiare al di fuori delle necessità biologiche e sociali, al di fuori di ogni necessità razionale e fisiologica, è spesso connesso con una prassi allegorica, magica, di segrete visioni religiose, mistiche di potere sul mondo reale. Artisti di tutti i tempi sono stati affascinati dalle complesse declinazioni possibili del “cibarsi”. In questa occasione, Lóránd Hegyi ha scelto opere di artisti contemporanei quali: Marina Abramovic, John Armleder, Vanessa Beecroft, Chun Sung-Myung, Valerio De Berardinis, Silvano De Pietri, Wim Delvoye, Erik Dietman, Erro, Sylvie Fleury, Omar Galliani, Gilbert & George, Nan Goldin, Jörg Immendorf, Sejla Kameric, Oleg Kulik, Jean-Jacques Lebel, Bernhard Martin, Antonella Mazzoni, Matthew McCaslin, Brigitte Niedermair, Hermann Nitsch, Dennis Oppenheim, Orlan, Claudio Parmiggiani, Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Graziano Pompili, Patrick Raynaud, Alberto Reggianini, David Reimondo, Enrico Robusti, Denis Santachiara, Stefano Spagnoli, Daniel Spoerri, Barthélémy Toguo, Tunga, Wim Wenders. “Foodscapes – Arte & Gastronomia” è uno dei momenti del grande progetto denominato “GNAM Gastronomia nell’Arte Moderna” promosso da Provincia di Parma, Fondazione Cariparma, Unione Parmense degli Industriali, Camera di Commercio di Parma e realizzato da Solares Fondazione delle Arti sotto la direzione artistica di Andrea Gambetta. Nell’ambito della manifestazione sarà presentato un progetto realizzato dall’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano intitolato “Trattoria da Salvatore”. Il progetto, nato nel 1996 presso l’Accademia da un'idea di Nicola Salvatore (docente del corso), e curato da Antonio D'Avossa e Alberto Mattia Martini, ha come elemento primario il rapporto tra cibo e arte. “Foodscapes – Art & Gastronomy”, Parma, ex Cinema Trento, 7 ottobre 2007 – 6 gennaio 2008. Orari d'apertura: dal martedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19; sabato e domenica dalle 10 alle 19 Prezzi: ingresso intero 7 €, ingresso ridotto 5 €, ingresso performance 3 €. Bambini fino a 5 anni gratuito; da 6 a 18 anni e oltre i 65 ridotto. Possibilità di sconti per gruppi e scolaresche. Catalogo mostra edito da Federico Motta Editore a cura di Andrea Gambetta con interventi di Lóránd Hegyi, Marcello Garofalo, Luigi Settembrini, Gloria Bianchino e Giuseppe Bertolucci. “Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei” di Andrea Gambetta, Direttore Artistico Progetto GNAM. “Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d'un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di madeleine. Ma nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario...” da “Alla Ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust Quando si affronta una tematica come l'alimentazione, così trasversale, comune e “vitale” a tutte le culture e a tutte le latitudini del mondo, cercando dei codici di decodificazione dei differenti comportamenti sociali, occorre sempre utilizzare un tramite, una password che aiuti a capire (perlomeno a tentare di capire) i diversi punti di vista, le specifiche abitudini quotidiane e delle ritualità per le occasioni speciali. Il progetto G.N.A.M., la cui pronuncia onomatopeica e fumettistica è l'acronimo di Gastronomia Nell’Arte Moderna, vuole riflettere sulle questioni e implicazioni culturali, civili, politiche che ruotano intorno al tema del cibo attraverso l'arte. D'altra parte, si intende per gastronomia il complesso delle regole e delle usanze relative alla preparazione dei cibi, ossia l'arte della cucina, mentre per la parola arte è più difficile definire un significato unico e preciso (ed è forse il suo bello) ma, in alcuni dizionari, viene definita come l'attività dell'uomo che ne esalta il talento inventivo e la capacità espressiva. L’intento di GNAM è quindi quello di offrire diverse letture dell’argomento arte in rapporto con la gastronomia, nella maniera più aperta e sfaccettata possibile, attraverso la lente d'ingrandimento che le diverse discipline artistiche possono offrire su un panorama vasto quanto il mondo. Parma ed il suo territorio hanno in questo ambito un’immagine culturale internazionale di grande valore, che viene ammirata, da sempre, come un simbolo del giusto equilibrio fra la tradizione storica e la volontà di esprimere un’alta qualità dei suoi prodotti e proprio per questo crediamo possa crearsi qui un momento di riflessione importante. Si vuole quindi offrire, attraverso una poetica poliedrica, una moderna visione contemporanea sull'argomento, dove il progetto GNAM trovi la giusta collocazione nella culla naturale della Food-valley per promuovere ulteriormente un naturale talento del luogo, consolidato nel corso del tempo. Inoltre Parma, come sede dell’EFSA per l’Authority Alimentare Europea, rappresenta un esempio molto importante dello sforzo svolto dalle Amministrazioni locali verso un’impostazione nuova, con una nuova opportunità di sviluppo che va affiancata e sostenuta. Il progetto GNAM nasce da un'idea del Presidente della Provincia di Parma Vincenzo Bernazzoli, ed è promosso dai principali protagonisti della vita economica territoriale tra cui la Fondazione Cariparma, l'Unione Parmense degli Industriali e la Camera di Commercio di Parma, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Regione Emilia-Romagna, il Comune di Parma ed i Comuni di Colorno, Collecchio, Fidenza e Langhirano e viene realizzata da Solares Fondazione delle Arti che vanta ormai un'esperienza pluriennale nell'organizzazione di eventi multimediali. GNAM si interrogherà sul presente e sul futuro del binomio alimentazione/cultura, attraverso l’interpretazione dei linguaggi contemporanei, fra arti plastiche, design, installazioni, cinema, fotografia, letteratura, musica e teatro. Una manifestazione capace di interrogarsi ed aprire un confronto con il villaggio globale su questo tema, per riscoprire la nostra identità. Primo “assaggio” di GNAM la mostra “Il Gusto nell’arte di Walt Disney” a cura di Marcello Garofalo e Ira Meyer (svoltasi presso la Reggia di Colorno e collegata ad un'iniziativa di beneficenza a favore dei bambini africani e della Bielorussia) dove i personaggi scaturiti dalla grande fantasia Disney, nei disegni originali provenienti dagli archivi degli Stati Uniti, hanno offerto un esempio degli intenti progettuali. I protagonisti disneyani come Biancaneve che cucina la torta di uva spina, Alice nel Paese delle Meraviglie che Foodscapes Art&Gastronomy Appunti sulla magnificenza e lo splendore del decoro del “cibarsi” di Lóránd Hegyi. Quando Gilbert & George in un quadro sommesso, dall’effetto inquietante e dai toni rossi, neri e bianchi mostrano accanto ai loro corpi nudi, le loro feci, di dimensioni pari quasi alla grandezza dei corpi, e lì accanto un’enorme scritta riportante le parole "Eat & Drink", è possibile immediatamente visualizzare i diversi contesti in cui si svolge e viene tematizzato l’atto del mangiare, il processo biologico, chimico, sociale, culturale e rituale dell’alimentazione. L’attuazione dell’alimentazione, in particolare quando si mangia realmente e non vi si accenna o la si imita solamente su un piano metasimbolico, come nel caso di rituali religiosi o festività sociali, ovvero la si impiega come segnale volto al raggiungimento di un altro scopo ingerendo una simbolica “piccola porzione”, manifesta la necessità biologica primaria di auto-conservazione. Il modo in cui questa auto-conservazione biologica si manifesta dipende da quale funzione primaria intende svolgere questa attività e in quale contesto viene percepita e tematizzata. Proprio questa tematizzazione e percezione unisce l’atto del mangiare con l’estetica, con la problematica del decoro, vale a dire con la questione della funzionalità e del corretto comportamento in un sistema di simboli appropriato e legittimo dal punto di vista socioculturale. L’estetica è legata indissolubilmente, dal punto di vista antropologico, alle diverse forme di tematizzazione e percezione dell’alimentazione. L’assunzione di un alimento, l’atto del mangiare e del bere, l’azione del consumare vengono a volte spostati sul piano estetico, al fine di includere e trasmettere, attraverso questa sublimazione, numerosi riferimenti socioculturali, mitologici e politici. Il “cibarsi” è una necessità, senza cibo non si vive; ma il modo di svolgere e percepire l’atto del mangiare dipende dalla socializzazione del processo alimentare nel senso più ampio del termine. Accade molto di rado ed effettivamente quasi esclusivamente in caso di emergenze - come ad esempio carestia, pericoli, epidemie, catastrofi, guerre ecc…- che occorra cibarsi completamente da soli, isolati da un qualsiasi, anche se minimo, contesto socioculturale. Dal punto di vista pragmatico non esistono “spazi vuoti“ in senso socioculturale; nella rete socioculturale non esistono dei buchi, in cui ci si possa cibare in modo semplice e puro, in senso solamente fisico e biologico. La stessa estrapolazione completa da un qualsiasi tessuto sociale, da una qualsiasi organizzazione sociale, da una qualsiasi comune di comportamento anche se minimamente strutturata e legittimata dalla collettività, da un qualsiasi sistema di convenzioni ridotto a un minimo accordo, non causa comunque alcuna indipendenza socioculturale, alcun isolamento totale, alcun completo allontanamento o negazione di tutte le possibili reminescenze legate ad un’attività alimentare adagiata all’interno del contesto primario comune delle persone. Nel caso in cui, in senso pragmatico non esistesse “de facto“ alcun tessuto sociale, continuerebbe ad agire il legame socioculturale mentale, per lo meno nella coscienza dell’uomo, che vivrebbe il proprio essere solo come un rifiuto, come una perdita del tessuto sociale, come legame negativo e quindi interiorizzerebbe il processo alimentare come qualcosa di, in ogni caso, principalmente comunitario, come qualcosa di carattere necessariamente socioculturale, nonostante una catastrofe, una costellazione deviante, inaccettabile, straordinaria e negativa abbia disgregato e distrutto il normale tessuto socioculturale. Nel ricordo di un legame normale fa riferimento a ciò che manca, che non c’è, e proprio questo riferimento al sistema socioculturale mancante e pragmaticamente carente assicura virtualmente la presenza di un legame comunitario. Anche in questo caso si pone la questione del decoro, priva di un pubblico sociale, ma colma di una consapevolezza comune, in cui proprio l’assenza estetica diventa allarmante, drammatica e scandalosa. Dove, quando, come, con chi, quanto, perché e a che scopo si mangia, chiarisce determinazioni sociali, storiche, culturali, ideologiche, mitologiche, religiose, fisiche e biologiche, le quali delineano le differenti costellazioni e i metapiani rituali, culturali e ideologici. Anche le attitudini e le abitudini primarie più semplici sono coinvolte nei contesti socioculturali complessi e stratificati. Non esiste un cibo semplice, puro e innocente, l’alimentazione è contemporaneamente un atto biologico e sociale, che unisce indissolubilmente fondamenti basilari ed esistenziali all’auto-conservazione biologica. Analogamente è possibile affermare che l’alimentazione è allo stesso tempo qualcosa di privato e collettivo, qualcosa di strettamente personale e contemporaneamente pubblico. Le interferenze provocatorie, drammatiche e sovversive nella tematizzazione estetica dell’atto alimentare si verificano sopratutto mescolando deliberatamente ciò che è convenzionalmente privato a ciò che è convenzionalmente pubblico, vale a dire proiettando il privato, con le sue competenze e referenze sul piano referenziale del sociale. In questa confusione provocatoria vengono messi in discussione i comportamenti fondamentali e convenzionali, ponendo in modo sovversivo la questione dell’intero arsenale dell’estetizzazione del processo alimentare. L’ironia, l’assurdità, le esagerazioni, l’edonismo e gli eccessi da un lato, l’avvicinamento al dramma, alla tragedia, all’insopportabile, alla distruzione e alla morte dall’altro esprimono i diversi percorsi di questo confronto artistico con l’atto del “cibarsi”. Ciò che è radicale, scandaloso e scioccante nella sopracitata opera di Gilbert & George si riscontra non nella rappresentazione di feci umane, ma nel brutale, naturale e semplice accostamento dell’atto biologico del riempire e dello svuotare il corpo umano, per lo più in una forma tradizionale, classica e rigorosa. “Questa tensione tra il rigore estremo della presentazione delle immagini e il carattere violento, quasi espressionista, del loro contenuto è una costante nelle opere di Gilbert & George”- sottolinea Bernard Marcade(1). Le parole "Eat & Drink" scritte in maiuscolo suonano come un imperativo, un po’ irritante e strano, allo stesso tempo autoritario ed edonista. L’esibizione del prodotto finale del bere e del mangiare, cioè le feci umane proprio accanto ai corpi umani, suscita scandalo e stupore: entrambi i motivi sono nudi, scoperti, sebbene nella cultura occidentale non sia solito mostrarli, se non solamente in una forma idealizzata e sublimata come nel caso dei corpi maschili degli eroi, degli dei e dei guerrieri. In scandalosa contrapposizione con questa adorazione del corpo, in Gilbert & George i nudi maschili vengono demitizzati e presentati frontalmente, senza veli; a loro non è stata data la possibilità di mostrarsi in pose eroiche. Accanto a loro appare la ripugnante rappresentazione delle feci, che secondo le convenzioni comuni non si dovrebbe esibire: in questo modo viene infranto un tabù. Gilbert & George sensibilizzano l'osservatore non solo con lo scandalo più evidente e l’elementare brutalità dell’immediata rappresentazione del semplice processo di “In-Out” della vita organica, ma anche con il semplice procedimento biochimico dell’atto del riempire e dello svuotare, durante il quale vengono prodotte energie indispensabili. Normalmente questo procedimento elementare di “In-Out” è di rado degno di essere rappresentato ed è anche raro che sia oggetto di tematizzazione. Ancora di meno si parla invece del prodotto finale, nonostante ci si occupi della problematica dell’alimentazione e dell’evacuazione durante tutta la vita e non viene neppure considerato “decente“. Il prodotto finale viene solitamente allontanato il più velocemente possibile come qualcosa di ripugnante, sporco, non accettabile, fastidioso perché contamina e disturba il decoro. Non c’è da meravigliarsi che le parolacce quasi sempre siano collegate alle feci, come espressione di qualcosa di spregevole, ripugnante e brutto. Il fastidio viene allontanato immediatamente -quando la comunità funziona correttamente- e la definizione di ciò che disturba e che repelle, viene attribuita al nemico e a qualcosa di negativo. Questo utilizzo simbolico della definizione negativa e sporca di ciò che causa fastidio riveste una funzione non solo di allontanamento del concetto banale, elementare e pragmatico di sudiciume ma anche di piacevole attribuzione del concetto di fastidio al nemico, al diverso emarginato e disprezzato. Inoltre possiede in sé qualcosa di piacevole, perverso, distruttivo, indelicato e crudele. La costruzione della lingua semplice, brutale e aperta, concentrata su ciò che è essenziale trasmette questa latente dimensione di crudeltà che rappresenta l’altro lato oscuro, irrazionale e distruttivo dell’edonismo e dell’atto del consumo compiaciuto. L’opera di Gilbert & George presenta anche qualcosa d’altro, che va oltre, cioè che noi uomini siamo in fondo tutti uguali, condividiamo una base biologica comune che alla fine, nonostante le differenze sociali, culturali, ideologiche e religiose, ci accomuna allo stesso tempo dal punto di vista biologico e sociale. Il processo di “In-Out” dell’alimentazione e dell’evacuazione viene traslato su un piano morale- paradossalmente tramite ironia provocatoria e scandalosa- in cui la degradazione radicale della gerarchia avviene attraverso necessità biologiche. La molteplicità edonistica e sconfinata del piacere del cibo, le ricche e fantasiose differenze nell’esecuzione di un piatto, l’arte di cucinare, la preparazione incredibilmente maestosa dell’atto del mangiare insieme alla molteplicità sconfinata delle pietanze e l’estetica del cerimoniale del pasto scompaiono completamente dopo aver mangiato. Rimangono invece i resti delle pietanze, le rovine del cerimoniale, le persone sazie che subiscono tutte il processo digestivo e alla fine, nonostante la ricchezza e la molteplicità dell’atto del mangiare, si ritrovano ad avere una banale caratteristica comune. Durante l’assunzione del cibo si manifesta la differenza e la gerarchia, mentre durante l’evacuazione emerge l’uguaglianza. Questa affermazione indubbiamente ironica, evoca una latente e nascosta illusione alla vanità simbolica, per l’esattezza si interroga sul significato etico dell’uguaglianza e il senso della vita, contiene riflessioni critiche e sovversive della contrapposizione morale della problematica della disuguaglianza, della gerarchia, dei privilegi e della legittimità politica e socioculturale. Colui che può prendere parte alla cerimonia del pasto, il ruolo-sia esso cameriere o commensale, ospite d’onore oppure osservatore escluso dal pasto, che paradossalmente è sempre un partecipante, può comunque apprendere qualcosa dalla magnificenza della cerimonia e dal mito della festa ecc…- nel contesto generale tutti ricevono comunque qualcosa e si pone anche questione del decoro, come ad esempio nell’opera toccante di Sejla Kameric intitolata “Basic”. L’artista bosniaca, che ha vissuto la guerra nella sua città natale, Sarajevo, durante l’assedio durato circa tre anni, presenta qui con una poesia delicata, fragile e silenziosa un’immagine indimenticabile, un’oggettivazione di una cosa di primaria e vitale necessità, estremamente banale ed elementare che non può lasciarci indifferenti alla sua vista – e per questo non può essere valutata in modo definitivo- che se però viene a mancare e non è possibile disporne in modo duraturo, rende la vita impossibile, e la sua assenza ci costa la vita. Il segreto dell’efficacia emozionale del suo lavoro consiste tuttavia nell’unire la rappresentazione di una cosa di necessità vitale con allusioni ad altri bisogni che rendono la vita vera, perfetta, ricca e spiritualmente completa. Questo messaggio rappresenta l’essenziale, in cui le privazioni fisiche e materiali- come ad esempio la fame, la sete, il freddo, l’oscurità- vengono interpretate solamente come esternazioni delle privazioni reali, interne ed emozionali. Si tratta di metaforme di una sofferenza molto profonda, di una privazione esistenziale dalle radici profonde che mette in pericolo la base dell’esistenza umana. La semplicità innocente, angelica ed eterna con cui Sejla Kameric presenta le energie fondamentali, i componenti base dell’alimentazione, pane e acqua, presenta e sensibilizza emotivamente l’osservatore e lo conduce a diversi piani di empatia, attraverso cui egli generalizza la situazione estrema, la semplicità radicale della vita, vale a dire la questione radicale della sopravvivenza o della morte. Sejla Kameric affronta le tematiche non solo della guerra e della sofferenza, del pericolo e della speranza ma anche del destino. Si tratta di qualcosa di fondamentale, basilare cioè -in senso etico- antropologicamente necessario. Luce e calore, pane e prole, acqua e fecondità, sono alla base di ciascun individuo, della vita sulla terra e l’estirpazione di queste necessità vitali e basilari rappresenta un peccato imperdonabile, una crudeltà indimenticabile nei confronti della vita. La capacità di Sejla Kameric di trasmettere questo messaggio forte, drammatico ed etico con la sua angelica accuratezza, calma priva di pathos e di connotazione temporale e di apertura elementare schiude e diffonde connotazioni e agisce in tal senso per tematizzare la referenzialità socioculturale dell’opera in diversi contesti. La perdita delle fondamenta della vita, la rimozione delle cose necessarie ed elementari per la vita dell’uomo vengono tematizzate in diversi piani tramite il legame con i loro corpi. Le pesanti taniche in plastica per l’acqua portate a mano richiamano alla mente i numerosi quadri di bambini durante la guerra e delle persone sofferenti, che lottano principalmente per la loro vita in città distrutte e trasportano acqua in deserti spogli, aspettando in fila per ore per avere acqua potabile. Parallelamente vengono sollecitate e richiamate alla mente connotazioni della crescita biologica delle piante come condizione base dell’alimentazione, la potatura, il duro lavoro dell’agricoltura, e in generale, la preoccupazione per gli altri, il lavoro per la sopravvivenza. Il pane dalla forma grande e rotonda che le mani tengono davanti al ventre, il pane che allo stesso tempo protegge e riscalda con un - presumibilmente di stampo antropologico e fisionomico – gesto archetipo, come le donne incinte tengono il ventre, le future mamme tengono in mano il loro figlio, proteggendo il frutto dell’amore e portandone il peso, viene visualizzata in questa relazione corporea la metafora della sopravvivenza in duplice significato: da un lato come alimentazione, alimento primario come il pane quotidiano e dall’altro lato, il bambino, il frutto dell’amore, la sopravvivenza, la futura generazione, la prosecuzione della vita, nonostante tutte le condizioni spaventose, terribili e insopportabili. Questa è un’oggettivazione di una bellezza indimenticabile, forte e complessa del trionfo della sopravvivenza, della risolutezza della resistenza, dei desideri che per lo meno hanno un fondamento. La parte superiore dell’opera mostra il dolce volto dell’artista, con occhi chiusi, il capo rivolto verso l’alto nella direzione della luce. La fonte luminosa è una semplice e nuda lampadina, che illumina il volto della giovane donna. E’difficile riscontrare una tale ambivalenza come quella dell’immagine in questione. Il volto mostra da un lato, una dedizione totale e fisica, semplicemente la luce e il calore della lampadina nuda si possono percepire, come la sofferenza al freddo o al buio porta alla ricerca di qualcosa di caldo o che emette luce. Dall’altro lato, quest’opera si associa a ricordi terribili e crudeli della prigione e della camera delle torture, in cui la vittima viene consegnata prontamente al suo boia, aspetta la violenza in una stanza buia illuminata dalla fioca luce di una lampadina, in cui non si scorge nessuno, se non il collo del boia che osserva la sua vittima. Luce nell’oscurità, calore nel freddo, dedizione al delicato e caldo tratto di luce, speranza in qualcosa di più positivo, migliore, più caldo da un lato; cecità, condanna, perdita, sacrificio, perdita della speranza dall’altro, danno vita alla referenzialità estremamente complessa di quest’opera elementare e densa di significato. L’acqua in basso, come la terra, che nutre con i corsi d’acqua le piante; la luce in alto, come il sole, che con i suoi raggi rende possibile la fotosintesi, la base della completa fioritura –lo schiudersi organico e biologico e il pane nel mezzo, l’alimento più semplice, la condizione della sopravvivenza, nel mezzo dei corpi il ventre, che nel corpo materno porta il frutto dell’amore, il figlio, la vita futura, vengono qui riunite in una metafora artistica, densa, arcaica, semplice, coerente ed eterna in cui gli elementi dell’alimentazione sono perfettamente sublimati ed elevati ad un piano poetico ed universale. Sebbene l’opera contenga vitali, significativi e comprensibili riferimenti alla guerra e alla sofferenza umana, alla privazione fisica e spirituale, alla riduzione a ciò che è indispensabile e alle restrizioni delle possibilità vitali, evoca tuttavia qualcosa di universale e fondamentale, qualcosa privo di compromessi umani, cioè il diritto per lo meno assoluto, imprescindibile e inviolabile a ciò che è fondamentale, che nonostante tutte le restrizioni rende ancora possibile l’integrità fondamentale della vita. Gli esempi sopraccitati dimostrano l’irritante legame trasversale tra - apparentemente - banali, necessità biofisiche della vita, la cui soddisfazione avviene tramite appropriate funzioni corporee e i riferimenti socioculturali- che concretizzano i processi biofisici in diversi contesti, in cui l’osservatore si trova a confrontarsi con questioni esistenziali e fondamentali. La radicalità corporea e la poesia delicata, l’ironia sovversiva e l’emozionalità priva di pathos, la scioccante immediatezza e la sottigliezza metaforica si collegano reciprocamente, tematizzando particolari tabù. La mostra dal titolo “Foodscapes Art&Gastronomy” offre una vasta, regale, a volte retrospettiva ma mai storica scelta di opere d’arte, le quali affrontano le tematiche dei complessi legami con l’atto del mangiare in un contesto storico-culturale, antropologico, sociologico e politico, in particolare sollevano le più disparate connotazioni sul “cibarsi” come attività primaria, elementare, vitale, istintiva e inconscia. Questa ossessiva ricerca, questa curiosità per un numero sempre maggiore di legami e collegamenti conduce ad una selezione di opere esemplificative, come una guida turistica per viaggiatori sui paesaggi delle tipologie di pasto più disparate. L’alimentazione, questa attività banale, naturale, elementare e vitale coinvolge ed evoca sconfinati riferimenti socioculturali, linguistici, politici, ideologici, religiosi, vale a dire antropologici e perfino medici e fino a toccare zone particolarmente sensibili e tabù, territori proibiti e contenuti nascosti ed inconsci; spesso in modo indiretto, tramite allegorie e metafore, che presentano una particolare sublimazione dei fenomeni originari, fisco-empirici e sensoriali. Questa sublimazione è una componente fondamentale del Decoro ma in nessuno modo rappresenta una banale strategia segreta né un abbellimento ipocritico della realtà, non di meno un adeguamento alle contraddizioni e ai processi crudeli e distruttivi. Qui si tratta nuovamente di casi limite, vale a dire, un irritante ammassarsi di meccanismi diversi che sono esempi interessanti e allo stesso tempo provocatori. Mentre il personaggio sbruffone di Chung Sung-Myung rappresenta un’illusione irrazionale e autolesionista come in un incubo, in cui l’uomo col coltello richiama infinte associazioni a scene di film e di narrativa letteraria, Orlan mette in scena operazioni chirurgiche su corpi tramite l’intervento clinico. Orlan posiziona la scena dell’operazione, l’apertura dei corpi in una situazione pseudo-culinaria con ornamento di frutta, in cui i corpi stesi sono esposti quasi come durante un pasto, come fossero una portata appetitosa o una pietanza invitante. L’invito di Patrick Raynaud al pasto gioca con le connotazioni dall’ambito oscuro di un cannibalismo mistico, radicato nella cultura e segreto, in cui il piano metaforico viene perfettamente tematizzato nel contesto del simulacro culturale. Questa sublimazione lascia intendere la struttura di una parte intenzionalmente ricercata, artificiosa ed eseguita sapientemente del simulacro culturale, in cui la stilizzazione e lo straniamento conferiscono un’intenzionale artificialità al decoro. Vettor Pisani opera allo stesso modo con un’artificialità aumentata ad absurdum, che allo stesso tempo possiede sempre qualcosa di demoniaco, incontrollabile e anche psichicamente reale. In Vettor Pisani il movenza funzione, in cui l’attore principale, il padrone di casa rimane segreto. Il pubblico pomposo che –nel contesto del simulacro culturale- una referenzialità intenzionalmente esagerata e caotica che comprende una barocca, edonistica apertura di connotazioni ammassate e illusioni al lavoro, agisce nella direzione di una teatralità iperintensiva, in cui ciò che è edonista, culinario e sensuale - tramite una completezza e sazietà culturale- diventa agnosticismo. Hermann Nitsch si aspira alla riconquista radicale del Decoro con il suo “Orgien-Mysterien-Theater” (“Teatro delle orge e dei misteri”), in cui il teatrale si schiude nel contesto della nuova struttura della forma d’arte totale, vera e drammatica. Nitsch lavora in modo analogo a Vettor Pisani con esagerazioni sconfinate di tutte le esperienze edonistiche e sensoriali, sopratutto attraverso la commistione di feste popolari con rituali sacrificali sublimati. Gli atti del mangiare e del bere acquistano in Nitsch un significato centrale, per il quale i partecipanti possono/devono mangiare-divorare e bere-tracannare, mentre altri partecipanti sperimentano il collettivo gioco -rituale-del gusto del sangue e della carne, del pesce e della frutta. La forma sublimata dei rituali sacrificali viene unita alla gigantesca festa popolare, in cui il pasto allargato come attività centrale, di integrazione e accumulo, di raccolta smisurata viene concretizzato in diversi contesti, come la mitologia, la religione, la corrente filosofica di Nietsche e Freud. Anche nell’opera di Hermann Nitsch “Orgien-Mystherien-Theater” (“Teatro delle orge e dei misteri”) la referenzialità svolge un ruolo fondamentale, ma non di materiale grezzo socioculturale e storico per l’intenzionale artificiosità, ma di indicatore per i modelli antichi del vissuto collettivo della contrapposizione radicale alle esperienze elementari ed esistenziali della conoscenza di sé. L’esaltazione collettiva del pasto conviviale vissuto insieme durante la festa popolare conduce paradossalmente alla conoscenza individuale di sé. Un altro modello estremamente diverso di rituali sacrificali è ciò che si può osservare nel drammatico video di Marina Abramovic, in cui l’artista-attraverso il processo del divorare brutalmente esagerato, violento, tormentato e doloroso- porta all’identificazione della vittima. Lei continua a mangiare un’innumerevole quantità di cipolle; le mangia, le divora e dilania uno dei pochi alimenti disponibili in periodo di guerra, le divora sempre più amaramente, selvaggiamente e senza forze; le divora con un dolore e una nausea diventati insopportabili, le dilania con difficoltà sempre crescente fino alla fine, quando non può più costringersi ad ingoiarne neanche un pezzo… Questa azione tormentata, ossessiva, amara, incredibilmente estrema fino alla sofferenza e all’impossibilità fisica del divorare agisce allo stesso modo dell’immediatezza delle esperienze fisiche di Hermann Nitsch, ma si confronta con tutte le possibili strategie di sublimazione, riduce la referenzialità e plasma una situazione di attività fisica ridotta, completamente scarna e sterile, che costringe l’osservatore a concentrarsi sulla sofferenza derivante dal divorare. L’artista costringe in modo brutale l’osservatore ad assistere alle scene mentre esse vengono girate. Non si riscontra nessuna deviazione dell’attenzione, nessuna segretezza degli eventi fisici, nessuna sublimazione dei processi brutali, dolorosi e tormentati: questo processo rappresenta l’unica ed esclusiva realtà , l’unica ed inevitabile verità. La totale crudeltà della guerra condensata e trasmessa qui in un processo doloroso, lento ma molto intenso, in cui l’alimentazione - in modo indiretto – evoca proprio il suo opposto, la fame e la morte. Questa evocazione drammatica, brutale, obbligata sensibilizza il contesto primario: la guerra e la sofferenza fisica, paradossalmente non a causa della fame, ma del cibo. L’azione portata all’assurdo, eccessivamente esagerata, fino al dolore e al tormento del divorare risolve l’atto del mangiare di una funzionalità positiva, necessaria e vitale e lo definisce in una nuova, negativa e distruttiva funzionalità come azione del mangiare ribaltata e non funzionante, come metafora della morte. Il “cibarsi” e il morire, l’alimentazione e l’omicidio si collegano reciprocamente nell’atto del proprio sacrificio, in cui l’artista riprende la sola sofferenza umana- e la inquadra nella tragica mancanza d’aiuto e nella pacatezza della solitudine e la mostra al pubblico. La nostra mostra non offre assolutamente una panoramica enciclopedica della vasta complessità della tematica. Il nostro obiettivo non può essere rappresentare una totalità storica, una selezione o un’omogeneità antropologica. Noi vogliamo fornire esempi forti ed efficaci, in cui sia possibile osservare con ammirazione la complessità e la molteplicità della tematica. La mostra “Foodscapes Art&Gastronomy” è strutturata in sezioni tematiche, basate su diversi contesti di riferimento, in cui le sezioni non rappresentano per nessuna ragione una parte rigorosamente separata dalle altre e indipendente dalla mostra. E’ da intendersi prevalentemente come struttura orientativa senza che assuma ulteriori significati. Le diverse sezioni si riferiscono ad esperienze socioculturali diversificate e a riferimenti storico-culturali e mitologici. Da un lato, esistono contesti culturalmente, storicamente, ideologicamente, religiosamente condizionati nei quali l'atto di mangiare si trasforma in un'entità profondamente metaforica. La sacralità e il carattere rappresentativo del cibo, le formalità cerimoniali, l'estetica di potere e ricchezza, la gerarchia ed il complesso e differenziato sistema di esclusività ed inclusività, l'accettazione o il rifiuto sociale, la posizione centrale o la marginalità costituiscono punti cruciali in queste aree tematiche. D’altro lato, l'atto di mangiare è – e tuttora rimane – qualcosa di barbaro, animale, incontrollabile, qualcosa di distruttivo, inconscio, spontaneo, anarchico, immediato, bestiale, un'attività immorale che dà ampio spazio a processi irrazionali, spontanei, illimitati, irreversibili “ad absurdum“ fino al cannibalismo e all' auto-distruzione più oscena, all'auto-mortificazione simile al suicidio ed all'edonismo che va oltre l'esagerazione. Quest' aspetto patologico dell' atto di mangiare al di fuori delle necessità biologiche e sociali, oltre ogni necessità razionale e fisiologica, è spesso connesso con una prassi allegorica, magica di segrete visioni religiose, mistiche di potere oltre il mondo reale. La nostra mostra vanta opere uniche, piene di poesia spesso irritanti che offrono la narrativa completa di un intricato groviglio socioculturale. Note: 1. Bernard Marcade: Gilbert & George: A Heraldry of Fundamentals in: Katalog Gilbert & George, Musee d´Art Moderne de la Ville de Paris 1998. p.262. per informazioni: Solares Fondazione delle Arti L. go VIII Marzo, 9/a 43100 Parma ITALY tel. +39 (0)521 967088 fax. +39 (0)521 925669 www.gnamfestival.it info@gnamfestival.it Ufficio Stampa: Studio ESSECI _ Sergio Campagnolo Tel. 049.663499 info@studioesseci.net www.studioesseci.net