Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
06/11/2007
E' uscito un libro di ricette sarde dal sapore antropologico. Per chi come me esplora i riti gastronomici delle grandi culture è stata una felice scoperta il libro “Sardegna da divorare” di Antonangelo Liori (Zonza Editori, pag 125, 13 euro, giugno 2007). Che s'intitola proprio così ma contiene (come recita il sottotitolo) “le ricette mitologiche di una terra perduta fra inganno e magia”. E mantiene felicemente fede alla consegna dalla prima all'ultima pagina. Trascorrono così trenta ricette che sono autentici quadri di vita, con una analisi attenta dei prodotti e dei gesti che giustifica ritmi stagionali e ruoli. Usi e costumi che stanno sparendo. Antonangelo Liori nasce a Desulo nel 1964. Giornalista di quotidiani, televisioni e periodici da quattordici anni, è stato anche autore e programmista Rai. La madre viene da una famiglia di pastori e il padre ha trascorso una vita commerciando proprio con i pastori, fornendo loro “campanacci per le pecore, gambali, portafogli di cuoio, coltelli, forbici per tosare, fiscelle per fare il formaggio, e caldaie di alluminio per la caseificazione”. Da attento osservatore della realtà che lo circonda, l'autore esplora un mondo fatto di storie e di storia. Si sente forte nella sua scrittura il groppo che gli prende la gola nel ricordare quando, bambino piccolo, si fermava sulle scale in modo da non essere visto, per osservare la madre che come una vestale preparava la pasta fresca. Assolutamente da leggere e rileggere il capitolo intitolato “sa menestra de ervethu”. Minestra di erbacce selvatiche in uso nella sua natìa Barbagia, piatto della carestia “di una quaresima strutturale che investiva la gente per 365 giorni all'anno”, cinque diverse erbe (nella mia Liguria di Levante diremmo “erbi”) in cinque diversi mazzi: vrenucru agreste, lampathu, apara, ungra e' zironia, apriheddu. Finocchietto selvatico, bietola selvatica, porro, una sorta di sedano nano piccantissimo, e infine una specie di piccola erba lattiginosa che si trovava in ogni cunetta e che oggi è quasi scomparsa: s'apriheddu. Credo che questo esempio di conduzione possa bastare per far capire con quale metodologia Liori abbia scritto il libro. Che ci introduce in vari mondi gastronomici: su cas'aghedu, su zurrette, discutendo del formaggio in felce, della cassola di zucchine e uova, del pane di San Giovanni, delle patate biscottate con guanciale e ricotta secca, felice viaggio dentro fagioli freschi e patate sulle felci, pane gutiau, capra in crosta, pera mamoi. Nei tempi di supermercato che ha raggiunto ormai ogni paese della Barbagia, resta un sogno questa cucina? Liori sa bene che molto è perduto. Ma il suo è un accorato bisogno di fermare nel tempo immagini e riti gastronomici che hanno segnato tempi di fame ma anche tempi di genuino stupore delle papille. Perchè si mangiava con la testa prima ancora che con la pancia. Gabriella Molli pubblicista ligure gmolli@libero.it