Saperi e sapori

Alla scoperta della lenticchia di Villalba

di Giuseppe Liberto

31/01/2007

Dalle origini ai giorni nostri le lenticchie hanno perso la loro primordiale importanza. Da piatto prelibatissimo, tanto d’aver convinto Esaù a rinunciare alla primogenitura, al ruolo marginale di segnatura delle cartelle delle misere tombole natalizie, o peggio ancora, al quiz stupido della Carrà, che chiede: - Il numero delle lenticchie contenute all’interno di un cilindro di vetro -. Qualcuno, aspetta addirittura la fine dell’anno per mangiarle, non per la peculiare bontà, ma come portafortuna, come simbolo d’abbondanza, o di benessere, indice di benevolenza della natura verso l'uomo. Ricordo dell'antica tradizione romana che invitava a regalare una “scarsella”, piccola borsa di pelle, un antesignano del moderno portamonete riempito di lenticchie, con l’auspicio che potessero trasformassi in denaro. Viceversa, l’Amministrazione comunale di Villalba, con il suo assessore all’agricoltura Peppe Favata (nella foto), mira al recupero di questa tipica peculiarità territoriale. La lenticchia costituisce una parte della memoria storica della comunità Villalbese, ma è anche, al pari della statua del Quattrocchi di S. Giuseppe, di cui si ha grande venerazione, o del palazzo del barone Palmieri, un bene culturale da salvaguardare e consegnare alle popolazioni future. Un recupero, dunque, della tradizione, della storia, della cultura, ma soprattutto della memoria di Villalba. Nel piccolo paese nisseno, posto a circa 600 m sul livello del mare, in un territorio costituito da colline d'argilla ed aspri rilievi calcarei, la lenticchia ha trovato il suo areale naturale. L’introduzione della coltura la si deve al marchese Niccolo Palmieri, abile imprenditore agricolo e commerciante di cereali, ed anche fondatore del piccolo centro. Il notabile aveva saggiamente inserito nel ciclo colturale delle sue proprietà una rotazione costituita da sulla, lenticchia e grano duro, ciò aveva favorito la diffusione della coltivazione della Ervum lens L. Tra il 1930 ed il 1960 la coltivazione raggiunse la sua massima espansione tanto da dividere il primato di primo produttore, con la cittadina di Altamura. Nel 1956 il 30% della produzione nazionale (circa 132.000 t) proveniva dal territorio di Villalba. Purtroppo, le tecniche agricole adoperate sono rimaste quelle tradizionali, la qualcosa ha fatto recedere la coltivazione che nell’ultimo decennio si è attestata mediamente intorno ai 30 quintali. Il successo della forte richiesta era dovuta alle caratteristiche organolettiche dell’ecotipo vilalbese ed alla predilezione dei consumatori di quegli anni per i tipi a seme grande. Tra le varie cause del suo declino sono da imputare, sicuramente al cambio del gusto alimentare, al basso livello produttivo, agli elevati costi di produzione, ma soprattutto la mancata adozione di una tecnica colturale meccanizzata. La lenticchia villalbese appartiene alla varietà a lente grossa. La sua coltivazione, su terreni compatti, ne esalta la particolarità di essere molto gustosa e di non sfaldarsi durante la cottura. Inoltre, la sua forma si distingue dalle altre per l'ampio diametro dei semi e per la forma schiacciata, quasi piatta. Si caratterizza inoltre per un alto contenuto proteico ed un basso tenore di ceneri. La granella è altresì ricca di potassio e povera in sodio. Da rilevare il suo contenuto di ferro, molto più elevato rispetto ad altri ecotipi. Della coltivazione della lenticchia e del suo potenziale sviluppo se n’è parlato nel corso di un importante convegno che ha visto presenti diverse istituzioni venute in soccorso di questo peculiare prodotto tipico che rischia di scomparire. Al tavolo della presidenza, oltre al sindaco Dr. Eugenio Zoda, era presente il presidente del consorzio “Le cinque Valli”, Salvatore Brigida. Il ruolo di moderatore è stato affidato all’assessore all’agricoltura Giuseppe Favata. Le relazioni introduttive sono state tenute dai tecnici dell’Istituto di Genetica vegetale e per la Protezione delle piante del CNR di Bari, Dr. Gaetano Laghetti e Vito Di Mauro. I due studiosi hanno presentato i loro lavori svolti in tre anni di attività sull’agrotipico villabese. Il Dr. Bennardo Messina, tecnico del consorzio di ricerca “G. Ballatore”, ha evidenziato le tecniche della coltivazione e soprattutto il lavoro minuzioso che l’Ente ha messo in atto. Presenti anche le tre organizzazioni di categoria con i direttori provinciali Enzo Cavallo Coldiretti, Giusppe Gentile, Confagricoltura e Giuseppe Valenza della Confederazione Italiana Agricoltori. L’Accademia Internazionale Epulae è stata rappresentata dal suo presidente regionale Mario Liberto. Erano presenti, inoltre, il presidente degli agronomi provinciale Piero Lo Nigro, e l’assessore provinciale all’agricoltura Mario Santamaria. I lavori sono stati chiusi dal cav. Michele Pernice, presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta. Tutti hanno convenuto sull’importanza della lenticchia villalbese e ognuno, per il ruolo svolto, hanno dato validi suggerimenti per promuovere questa leguminosa, da sempre considerata, – carne dei poveri -. Soprattutto, in considerazione che l’Italia importa quasi 20.000 tonnellate di semi, rende il futuro roseo della piccola “lente”. Naturalmente si è posto l’esigenza di fare associare i piccoli produttori, “perché da soli si poco strada”. Concentrare l’offerta ed organizzare la vendita del prodotto attraverso l’ identificazione con un marchio dell’Unione Europea (DOP o IGP) o anche come presidio Slow Food. Far proseguire la ricerca dagli Istituti di Genetica vegetale, e della Protezione delle piante del CNR di Bari, nonché del consorzio “Ballatore”, cercando di di conoscere tutti gli aspetti vegetativi e soprattutto mettere in atto un’ adeguata tecnica colturale, meccanizzando, possibilmente, le varie fasi produttive. Sotto l’aspetto promozionale, oltre al marchio, si è convenuto di realizzare un parkeging che dia una forte caratterizzazione di visibilità al prodotto. Le confezioni dovrebbero evidenziare il modo di cottura, poiché le nuove generazioni li sconoscono. Fare conoscere l’importanza della lenticchia, regina della dieta mediterranea; partecipare ad eventi promozionali nazionali ed internazionali; cercare di avere un ruolo più incisivo all’interno dell’Associazione italiana “Città delle lenticchie”; calendarizzare una sagra locale con risonanza nazionale. Invogliare l’apertura di un locale ristorativo, con piatti a base di lenticchie. Da parte dell’Accademia internazionale Epulae sono arrivati suggerimenti riguardo il suo consumo. Le lenticchie di Villaba - vanno mangiate con pane di tipo casereccio, accompagnato da vino ben strutturato, possibilmente Nero d’Avola o Perricone, e condite olio extravergine di oliva, varietà Nocellara -. Villalba è anche la terra natia di Luigi Michele Pantaleone e di Don Calò Vizzini a cui la storia siciliana ha rilegato delle interessanti pagine. Se quel piatto è stato contraccambiato con una primogenitura, riteniamo, anche se a distanza di molti secoli, la lenticchia può avere ancora un ruolo di primaria importanza per lo sviluppo locale di questa Terra villalbese “Cuore rurale” dell’antica nobile di Sicilia.

Giuseppe Liberto