Saperi e sapori

La Sicilia e i siciliani di Mario Liberto

di Mario Liberto

06/02/2007

Vai a capirli i siciliani! Fattivi e stanchi, laboriosi e neghittosi, entusiastici e depressi, creativi e statici, coraggiosi e insicuri. Insomma, sono tutto ed il contrario di tutto! Vivono e si complicano la vita arrovellandosi attraverso filosofie e culture di cui sconoscono l’origine e come l’abbiamo apprese. Non dite che non sanno ribellarsi - soggiogati da questo o quell’ultimo arrivato - che hanno vissuto in quest’isola subendo, loro malgrado. Questa terra, per la posizione geografica difficile da controllare, è stata facile preda di tutti i dominatori. Come una bella donna è stata sempre sedotta e abbandonata. Terra ambita per la sua bellezza e ricchezza. Il suo popolo si è sempre contraddistinto per l’ospitalità e la tolleranza: pregio che, nel mondo, l’ha fatto diventare proverbiale. Un popolo che vive e rispetta lingue e culture differenti. In questa terra, lavoro, bisogni e speranze vengono condivisi senza alcuna differenza. Pertanto, vi prego, non criticatelo! Anche quando dimentica il suo grande passato. Questo è un popolo che ha subito undici dominazioni. Tutte così diverse: culture, filosofie, religioni, lingue. Nei secoli ha saggiamente recepito il meglio delle novità con un’intelligenza e una capacità selettiva davvero straordinarie. Ha saputo assimilare la cultura orientale e travasarla in quella europea. Ricucendo la diastasi tra il magico oriente e il pragmatico occidente. Ha lottato in questa terra di frontiera difficile da governare, controllare e salvaguardare. Terra in cui vivere è difficile, sia per le condizioni climatiche, non certo facili, sia per un manipolo di uomini che hanno mutuato nel loro DNA le doti più nefaste dei loro antenati. Questa è gente che si è piegata, ma di sicuro non si è mai spezzata. Nei secoli ha sempre dimostrato una propria forza ed una capacità di reagire. Le più grandi rivoluzioni si sono combattute nell’isola ed i siciliani sono stati i protagonisti. Nelle varie epoche è stata un laboratorio politico-culturale e sociale. In Sicilia grandi e piccoli eroi, in momenti ed epoche differenti, hanno dimostrato sempre il loro coraggio e la loro abilità: la ribellione dei siculi, le guerre servili, la rivoluzione del Vespro, i fasci siciliani, don Sturzo ed il partito popolare, l’invasione americana, ecc. Un popolo che sempre ha mostrato la propria indole rivoluzionaria. Ciò che pervade la cultura isolana è una grande ruralità. Infatti, in Sicilia la cultura contadina ha radici profonde, ed ha saputo sapientemente, nel tempo, adattare la vita alle necessità della natura stessa. Le varie vicende storiche che si sono succedute e le sembianze del paesaggio hanno conferito a questa popolazione quel carattere d’individualità e diffidenza che, nel tempo, si è rivelato deleterio per lo sviluppo. L’onnipresenza del feudo, le sue regole, i suoi diritti, le fatiche, le speranze, le sottomissioni, ma soprattutto la “fame”, hanno permeato questa popolazione contadina. Questa terra che non mostra “inferiorità agraria”, ma soltanto una inferiorità di organizzazione produttiva e una distanza dai luoghi di consumo, mantiene una redditività di sopravvivenza. Se l’architettura è “la registrazione della storia dell’umanità”, come scrive Honoré de Balzac, quella rurale dei territori siciliani è forse ciò che maggiormente esprime la storia di un popolo la cui occupazione fondamentale è stata, per millenni, l’agricoltura. Questa predominanza agricola del territorio traspira dalle numerose masserie - antichi manieri riadattati nei secoli successivi - che in ogni feudo garantivano il controllo delle coscienze, ma anche del territorio, e che restano testimoni delle lotte contadine. Nel loro interno, si è decisa la sopravvivenza dei ceti più deboli, così come negli interminabili bagli (sinonimi di un’agricoltura ricca e prosperosa) e nelle storiche casene e ville rurali (retaggi di un’opulenta ricchezza di immortali e aristocratici gattopardi). Borghesia e proletariato. Storie di soprusi e prevaricazioni. «Tutto è morto - notava nella primavera 1885 Guy de Maupassant - arido e giallo, attorno ad essi, dietro e davanti ad essi. Il sole ha bruciato, mangiato la terra. Anzi, è veramente il sole che ha corroso così il suolo, oppure il fuoco profondo che brucia sempre le vene di quest'isola di vulcani? Poiché, dappertutto attorno a Girgenti, si stende la singolare contrada delle miniere di zolfo. Qui tutto è zolfo: la terra, le pietre, la sabbia, tutto [...] Dopo la collina dei templi di Girgenti, comincia una contrada stupefacente che sembra l'autentico reame di Satana, poiché se, come lo si credeva una volta, il diavolo abita in un vasto paese sotterraneo, pieno di zolfo in fusione, in cui fa bollire i dannati, è sicuramente in Sicilia che ha eletto il suo misterioso domicilio». Questa è l’immagine della Sicilia delle zolfare. Di questa Sicilia di sofferenza sono stati protagonisti i carusi che, caricati come somari, portavano lo zolfo fuori dalla miniera. Molta gente si è arricchita alle spalle di quei poveri dannati. Popolo di terra, ma anche di mare. Mare difficile. Mare di pescispada e di sarde. Mare di Fata Morgana, capace – attraverso la rifrazione e riflessione di raggi luminosi negli strati dell'aria, per cui si ha la sensazione ottica di vedere città e persone laddove non ci sono – di cagionare anche naufragi, facendo apparire la terraferma agli sfortunati naviganti. Mare, patria di Scilla e Cariddi. La prima, sorella della maga Circe, fornita di dodici piedi e sei teste, capace di divorare i marinai; mentre Cariddi, tre volte al giorno, ingurgitava e ributtava le ribollenti acque del mare. Mare di Colapesce. Così innamorato del mare e dei pesci, da diventare uno di essi. Terre e mari. Mari e terre pieni di fascino e di misteri. Mitologia e storia. Difficile capire dove finisca la mitologia e inizi la storia, e viceversa. Questa è stata la Sicilia. Ed il suo popolo è plasmato da questi fascini, tanto da venirne assorbito e dimenticare chi è realmente. Allora vive le positività come se vivesse le contrarietà, rinunciando a sforzarsi di capire se sia parte della storia o un personaggio mitologico. Di una cosa è realmente sicuro: il desiderio della propria libertà. Allo stesso modo vive “l’attesa del nuovo”. Un popolo che ha lottato e che ha saputo mantenere vivi il proprio credo, i riti e l’identità. E nelle feste questo popolo riesce a trarre i momenti migliori. Il tedesco Johan Heinch Barteels nel XVIII secolo ebbe a dire che ”L’entusiasmo per le feste fa di questi uomini dei folli, visto che manca loro l’occasione di essere eroi”. Ecco la Sicilia. Ecco i siciliani. I siciliani - questi ricordi - ce li hanno ancora vivi. Di notte si svegliano di soprassalto. Fatica, miseria, povertà, fame: queste sono le sintesi della storia e della amarezza dei siciliani. Questa terra è stata sempre ambita da tutti, ragione per cui, la fine di una oppressione era l’inizio di un’altra. Dominazioni dai due volti. Questo popolo ha dovuto combattere non solo con le insidie esterne, ma anche con quelle interne. Oltre a quella straniera ha subito l’egemonia delle classi dominanti subdole, che da sempre, alleandosi furbescamente con i più forti, sono state classi conservatrici. Ma la Sicilia è anche Mediterraneo. E il Mediterraneo, per dirla con Braudel, “non è una semplice fenditura della crosta terrestre che si allunga da Gibilterra all'Istmo di Suez e al Mar Rosso”. Su questo mare si affacciano terre diversissime fra loro, con modi di vita propri, civiltà moderne e tradizionali. “Il Mediterraneo è un mare che ha formato le civiltà, le ha divise, le ha unite, le ha messe in rapporto e le ha viste perfino contrapporsi in scontri mortali”. Il siciliano è la sintesi di tutto ciò. E’ il risultato di scontri di culture, di filosofie, di idee contrapposte. Quel “continente in miniatura, microcosmo che accoglie in forme miniaturizzate, ma nette, l’eredità di una storia lunghissima e complessa”.(Braudel). Popolo complesso, impregnato di mediterraneità. E l’eroe dei nostri giorni, Giovanni Falcone, ha scritto: “E’ il segno di un’identità: per la Sicilia, per la nostra storia. Noi abbiamo avuto cinquecento anni di feudalesimo. Se ci si rendesse conto che il siciliano è prima di tutto siciliano, poi medico, avvocato o poliziotto, si capirebbe già meglio”. E se, in clima di rassegnazione, qualcuno, rispolverando la fatidica formula del principe Salina, volesse riaffermare che in Sicilia “cambia tutto per non cambiare nulla”, vorrei fare ricordare che “quell’epigrafe fu l’inizio di un grande mutamento la morte dell’ aristocrazia ed il passaggio del potere alla borghesia imprenditoriale”.

Mario Liberto