Notizie e recensioni

Addio sommelier?

di Francesco Rovida

21/08/2008

 Nella foto di Donato Perillo, uno dei momenti di lavoro del Maestro Sommelier Enogastronomo Esperto Degustatore, Sandra Ianni Presidente Accademia Epulae Lazio. Da quando ho cominciato a maturare un effettivo interesse per il mondo del vino, grazie al corso per sommelier enogastronomo di Epulae, la mia sensibilità verso gli articoli di taglio enologico e gastronomico su giornali e riviste è ovviamente aumentata notevolmente. Così mi capita di andare a leggere anche piccoli articoli, che magari restano soltanto ai margini nelle pubblicazioni. E' stato così che ho potuto leggere un pezzo comparso il 13 agosto sul sito internet de “La Repubblica”, forse anche per il timore di essere “spodestato” nella mia nuova attività di sommelier che, peraltro, ho da pochissimo avviato. Il titolo dell'articolo è: Finisce l'era del vino taroccato arriva il sommelier elettronico. E, dopo, un primo paragrafo di carattere introduttivo ecco il “tragico epitaffio”: Addio sommelier. L'articolo in questione, pubblicato nella sezione “Tecnologia & Scienza”, presenta una interessante applicazione tecnologica sviluppata dal Barcelona Institute of Microelectronics: si tratta della E-Tongue, una lingua elettronica che sarebbe in grado di distinguere le annate del vino e le varietà di uva, sicuramente utile nel tentativo di smascherare eventuali sofisticazioni. Al di là del contenuto tecnico della notizia e delle intenzioni di chi l'ha riportata, la lettura mi ha stimolato nella riflessione sul significato di chi si occupa di vino per piacere personale ma, soprattutto, nel rapporto con altri, sia a livello amatoriale che professionale (intendo parlare sia di chi condivide le proprie competenze con gli amici sia di chi opera ai diversi livelli del marketing, della ristorazione e della produzione). La figura di sommelier sottesa all'articolo è quella di una sorta di guru della materia, una lingua (o un naso...) superiore a quello degli altri, in grado di distinguere ad occhi chiusi e uno dopo l'altro una serie infinita di vini, annata per annata; oppure di individuare con certezza tutti i vitigni utilizzati in un blend di almeno cinque tipologie, indicandone anche le percentuali esatte; oppure di elencare, con precisione maniacale e linguaggio tecnico (magari con i nomi botanici originali latini...), gli aromi di almeno dieci tipi diversi di erbe e fiori che si possono sentire in un grande vino bianco. Sono convinto che non sarò mai in grado di fare nessuna delle cose che ho elencato, tanto meno ora che sono un principiante assoluto; perciò ammetto che dentro di me c'è un misto di ammirazione ed invidia nei confronti di chi è in grado di farlo. Nel contempo, però, ho l'impressione che questa figura di sommelier abbia alcuni limiti, se non supportata da altri elementi. E rischia di restare relegata nel mondo degli “intenditori” o dei locali con una carta dei vini chilometrica, invece di operare per la diffusione capillare della qualità e della cultura del vino. Innanzitutto, se seguiamo la logica dell'articolo citato, è una figura sostituibile grazie allo sviluppo della tecnologia, che potrebbe superare gli eventuali errori di valutazione che l'esperienza umana porta inevitabilmente con sé. Ma, soprattutto, rischia di diventare una figura “lontana” che, invece di affascinare e avvicinare a questo meraviglioso mondo, propone e impone delle barriere, facendo sentire gli altri, amici o clienti che siano, incompetenti e, di conseguenza, disinteressati. La prima cosa che dicono, di solito, la maggior parte dei clienti che avvicino è: “Sa... noi non siamo competenti!”, anche se provo a presentarmi nel modo più semplice e credibile possibile: temo che sia proprio la figura in se stessa a suscitare questo tipo di reazione. Ovviamente non faccio riferimento ai clienti abituati a cercare ristoranti con una carta dei vini curata, che sono molti; ma a tutti gli altri, che sono pur sempre la maggioranza, che pur gradendo il vino non sanno ancora considerarlo come una parte del loro pasto e lo prendono in considerazione poco più che come un liquido alternativo all'acqua. Anche a loro (soprattutto a loro?) dovrebbe rivolgersi la professionalità del sommelier, giocando su quel “fattore E, quello emozionale”, come lo chiamano Federico Quaranta e l'Inutile Tinto di Radiodue (vedi: Federico Quaranta e l'Inutile Tinto, La prosopopea allappa, in “Wine Passion” luglio/agosto 2008, 22-23): è la storia del vino, quella della vigna e dei vitigni da cui origine, del territorio in cui è cresciuto, degli uomini che lo hanno preparato. Certo, anche l'analisi sensoriale è molto importante, come risveglio del gusto e dei sensi nel loro complesso; ma, forse, potrebbe essere un punto cui condurre proprio grazie ad un approccio quasi “narrativo”. Che poi è un modo per riscoprire la dimensione conviviale che il vino ha sempre portato con sé Chissà che questo sia anche un modo per incrementare le possibilità professionali dei sommelier o addirittura le vendite di vino nei locali? Francesco Rovida