Chiacchierando di gusto

Suppa Cuata e sane polemiche… Di Piero Careddu, scrittore e chef de cuisine.

09/02/2009

Nella foto, Piero Careddu.

QUALCHE CHIARIMENTO SULLA “SUPPA CUATA” O ZUPPA GALLURESE.
Ognuno di noi ha un piatto che porta nel cuore. Un cibo legato alla famiglia, a un amore, a un momento della vita particolrmente importante. Una preparazione capace di innescare i meccanismi del ricordo, dell’emozione, della nostalgia. Il mio è la Suppa Cuata: lo è perché la Gallura è la mia terra d’origine alla quale sono tutt’ora legatissimo e della quale sono innamorato, al punto da soffrire come un cane nel vederla allontanarsi a passo spedito dalla propria identità, in nome di una modernità e di uno sviluppo finti e utili ad arricchire pochi e quasi mai galluresi.. Su Facebook si è costituito un vero e proprio fans club della Zuppa Gallurese e, se da una parte mi ha fatto piacere vedere tanto entusiasmo di fronte a un elemento identitario così unificante, dall’altra ho letto tante bestialità che mi hanno fatto riflettere sui pericoli di vedere scomparire uno degli ultimi baluardi della nostra cultura.
Da qui l’esigenza di puntualizzare alcuni concetti su questo piatto che, così come è riuscito ad acquisire fama nei secoli, è altrettanto vittima di improbabili rivisitazioni e contaminazioni fuori luogo.
GLI INGREDIENTI.
Sono pochi ma devono essere di qualità eccellente. Si dovrebbe usare Lu Pani Cilindratu, un pane cotto apposta per la Zuppa e che ancora in alcune località viene prodotto; ma va benissimo un qualsiasi pane a crosta fine e mollica compatta e porosa fatto raffermare per un paio di giorni.
Qualche considerazione in più va fatta per il BRODO: la preparazione è nata solo con brodo vaccino visto che, durante la civiltà degli stazzi, le pecore in gallura non c’erano e sono comparse parecchi decenni dopo; oggi è ammesso dall’uso comune l’utilizzo di carne di pecora ma, per favore, niente pollo e niente maiale perché non ci stanno decisamente a far niente! Io consiglio di fare un misto 70 manzo e 30 di pecora: si ottiene così un brodo di buon spessore ma con i profumi e l’eleganza che un eccesso di carne ovina toglierebbe.
Il formaggio, anch’esso rigorosamente vaccino, deve essere da Panedda possibilmente tolta dalla salamoia non da più di un giorno. Conservate il pecorino per altre zuppe, sicuramente ottime, ma che non sono la nostra. Un’altra diatriba storica è quella dell’utilizzo delle aromatizzazioni naturali; in questo caso è giusto lasciare la parola alle tradizioni locali: a sud di Olbia si usa la menta fresca, da Arzachena verso l’interno fino a Tempio c’è chi usa cannella, pepe nero o saporita! Va tutto bene purchè non si aggiunga il finocchietto che conferisce una contaminazione anglonese che svilisce la purezza del piatto. Una signora ha risposto a questa mia osservazione su Facebook sostenendo che la cannella, la spezia che io uso nella mia versione, non appartiene alla tradizione sarda: Signora mia neanche il pomodoro, il pepe, il garofano e lo zafferano appartenevano alla tradizione fino a quando qualcuno li portati e inseriti nella quotidianità!

COME NON DEVE ESSERE UNA SUPPA CUATA:
- Non si deve usare la spianata: è un piatto gallurese e la spianata appartiene alla tradizione logudorese:
- Non ammazzatela di sugo di pomodoro nel finale del confezionamento; anche questa è una variazione arrivata da chi sa dove e che toglie tipicità al piatto così come l’abitudine di spennellare di uovo sbattuto (glab!)
- Non usate carni che non siano bovine e/o ovine: pollo e maiale involgariscono il brodo inquinando quei profumi meravigliosi che invadono le strade dei nostri paesi in certe domeniche invernali…
- Non usate formaggio pecorino: non c’entra una mazza!
- Non usate il finocchietto: è un’erba che io adoro come poche ma lasciatelo a popolazioni
che lo usano da millenni nella loro gastronomia con risultati spesso esaltanti.


QUALCHE SUGGERIMENTO PRATICO:
- assemblate gli elementi dalla notte precedente alla cottura: in questo modo date tempo al brodo di penetrare uniformemente nell’insieme
- disponete pane e formaggio a strati nella teglia in “asciutto” e cioè bagnate col brodo solo dopo aver fatto tutti gli strati; aiutate la penetrazione del brodo usando uno steccone o uno spiedino di metallo; nell’antichità si usava un ago da materassaio.
- la metà del formaggio va affettata sottilmente mentre l’altra metà va grattuggiata a mano per avere la possibiltà di mescolare il prezzemolo abbondante, che mai deve mancare, con le eventuali erbe o spezie che decidete di aggiungere per aromatizzare.
- per fare la crosta finale non serve aggiungere il famigerato pomodoro o, peggio ancora, l’uovo sbattuto: è sufficiente conservare una buona quantità dello stesso formaggio fresco che avete grattugiato e mescolato alle erbe; distribuitelo uniformemente sulla zuppa ormai assemblata e bagna di brodo e vedrete che otterrete una crosticina scura, spessa e croccante.

CONCLUSIONI.
Fatevi tutte le zuppe di pane che vi pare con tutti gli ingredienti che vi pare ma non chiamatele Suppa Cuata se non è fatta con gli ingredienti storici. Mi dispiacerebbe essere scambiato per un talebano della galluresità, io che sono il nemico numero uno degli integralismi, ma se decido di fare i bucatini col ragù di coccodrillo non li posso chiamare all’Amatriciana; se decido di usare la panna e la cipolla non posso andare a raccontare in giro che ho fatto la Carbonara; se metto lo sciroppo di fragola con la menta e il rum non posso permettermi di chiamarlo Mojito… potrei continuare per pagine e pagine ma mi fermo qua.
Create, inventate, rivisitate ma, per favore, non profanate i tesori della tradizione!
Naturalmente il confronto è aperto…

Piero Careddu