Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
18/02/2009
Nella foto in senso orario, il golfo dei poeti, la Spongata di Sarzana, Lerici e le acciughe di Monterosso.
Voglia di Liguria, voglia di Spezia, golfo dei poeti?
Parlare di prodotti spezzini che siano “geografici”, ovvero appartenenti esclusivamente al territorio della provincia della Spezia, significa contare sulla punta delle dita alcune “eccellenze” che si distinguono da quelle presenti in Liguria (o in Italia) per caratterizzazione e per storia. La provincia della Spezia appartiene alla Lunigiana storica e si snoda attraverso fasce di territorio in cui si sono determinate micro-economie e livelli di vita molto diversi: costiera, del Golfo, Alta, Media e Bassa Val di Vara, Alta, Media e Bassa Val di Magra, Colli di Luni. Ed è stata proprio la storia del territorio a determinare l’affermarsi di alcuni prodotti diventati nel tempo eccellenze. Prodotti fino a oggi considerati di nicchia. Alcuni entrati nell’Atlante dei prodotti regionali liguri, altri no. Sempre e comunque di piccola scala. E’ accaduto per i Muscoli, la cui coltivazione nel golfo data a fine Ottocento. E anche per le Acciughe di Monterosso, la cui storia nella preparazione sotto sale è legata a “saladeri” forse già attivi dal Cinquecento, ma documentati con certezza soltanto dall’Ottocento in poi, quando le donne monterossine dovettero iniziare a sostenere la famiglia. E cominciarono a produrre in larga scala nei vasi di vetro o in terracotta le famose “acciughe salate”. Occorre dire prima di tutto che questi due prodotti (Muscoli della Spezia e Acciughe salate di Monterosso) sono qualitativamente eccellenti perché appartengono a situazioni di territorio molto precise. Le acque del golfo sono rese dolci dalle correnti del fiume Magra e dalla presenza di molte sorgenti: ecco quindi che i nostri muscoli hanno quel qualcosa in biodiversità che li distingue da quelli che vengono allevati in altre zone italiane votate come Taranto oppure Olbia. Le Acciughe di Monterosso (ma è ovvio che si parla anche di acciughe della costa delle Cinque Terre, Levanto e del Golfo) si distinguono dalle cugine dell’Adriatico o del Sud perché sulla costa del Levante ligure (e in particolare proprio nella baia di Monterosso) trovano un habitat speciale ricco di plancton che le affusola e ingentilisce le loro carni. Ecco perché nel tempo hanno acquisito tanta notorietà e per gustarle “sotto sale” vanno prenotate l’anno prima perché di produzione limitata si parla. Per capire le loro qualità basta assaggiarle in degustazione comparata: sono infatti morbidamente più coinvolgenti e godibili rispetto ad altre. Fra i prodotti spezzini “geografici” che si stanno imponendo all’attenzione anche fuori provincia, c’è lo Zafferano di Campiglia. Sulla collina che chiude a Ovest il golfo, da qualche anno le piane che traguardano verso le Cinque Terre sono preparate per accogliere il bulbo da cui si ricava lo zafferano. Una ricerca ha documentato che la coltivazione era storicamente presente nel passato e che lo zafferano era usato come moneta. La posizione ottimale e in piena luce permette oggi una produzione intensiva e lo Zafferano di Campiglia comincia a essere valutato per la profumazione intensa e il particolare colore dorato che riesce a trasmettere. Seguendo il percorso di ricerca di prodotti spezzini che hanno una biodiversità, sui piccoli monti della Val di Vara s’incontra la zona delle Patate di Pignone, anche queste oggi “riscoperte” per il gusto speciale del loro impasto che le rende oggetto di coltivazione più intensiva, anche se piuttosto circoscritta e limitata. E s’incontra anche il “Fagiolo di Pignone” che vuol dire: cannellini, cenerini, fagioli dall’aquila, fagioli dall’occhio. Tutti tipi provenienti dagli Orti che danno anche il mais dall’asciutto da cui si ricava un’ottima farina gialla ben caratterizzata nel sapore. Oasi del gusto, dunque, il territorio di Pignone in cui contadini custodi dei vecchi semi, hanno ripreso le antiche produzioni e si sono associati per farle conoscere. L’oasi del gusto della Val di Vara riserva anche la sorpresa della “Pesela” (il Pisello nero di L’Ago) e della Cipolla rosa. Biodiversità anche in Alta Val di Vara, per alcuni formaggi vaccini che sono di area limitata, ma meritano attenzione per le tonalità gustative che infonde loro l’erba dei prati. Spicca fra questi il formaggio vaccino “Vaise” di Varese Ligure. Tutti questi prodotti geografici di area spezzina non possono ovviamente fruire di una “esportazione” fuori provincia. Esiste un “tempo” per scoprirli e un “tempo” per degustarli. Qui, solo qui, dunque. Per conoscerli quindi occorre frequentare il territorio in lungo e in largo, nelle sue grandi vallate segnate dai fiumi Magra e Vara. Un discorso a parte merita la disamina di alcuni prodotti in cui subentra la manipolazione e quindi la trasformazione con l’intervento della mano dell’uomo. E’ il caso dei mitici “Biscotti di Lerici” appena scomparsi nel borgo a Levante del golfo per incuria degli uomini e delle amministrazioni. E ora questi biscotti di probabile origine ebraica, che hanno una loro storia legata all’andar per mare, sono “rifatti” a Pitelli (piccolo borgo sulle colline a Est del Golfo) con analoga ricetta (perlomeno molto vicina all’originale) da un vecchio fornaio di radici lericine. Si spera che maggiore fortuna possa avere il “Poncré” di San Terenzo (s’incontra il delizioso borgo marinaro andando verso Lerici). Dolce sulla scia del plum-cake inglese, derivato dalla testa di un pasticciere di razza che ha frequentato i lunghi viaggi per mare. E che abbiano lunga vita anche i “Canestrelli di Brugnato” (il borgo è stato un importante snodo sulla via Francigena) e la “Spongata di Sarzana” (già molto conosciuta anche a livello nazionale). Due tipologie che affondano nelle radici antiche e che sono in tanti a sperare che non abbiano una caduta della produzione che spesso è affidata a una gestione familiare. Lunga vita ad ambedue.
Parlare di prodotti spezzini legati alla trasformazione vuol dire anche puntare l’attenzione su alcune chicche da forno che ci arrivano da consuetudini gastronomiche della cucina di casa del passato: prima di tutto va ricordata la “Focaccia spezzina”. Che si differenzia, se fatta secondo le antiche norme, da quella genovese oltreché da altre focacce salate prodotte nel Levante e nel Ponente Ligure. Solo la nascita di una “carta della focaccia spezzina” potrebbe tutelare le sue caratteristiche palatabili che la rendono straordinaria e diversa: prima di tutto la lievitazione naturale e poi la presenza dell’olio d’oliva extravergine che unito a sale marino grosso viene posto nei “buchetti” che la connotano.
Parlando di prodotti da forno spezzini c’è un mito di torta che è tutta un mistero, per nascita e per diffusione (è infatti limitata a una ristretta area della città di Sarzana): la torta “scema”. Scema nel senso che è fatta con pochi elementi e un tempo anche con poco sale: riso, acqua, pangrattato, olio. Una rivalutazione in corso sta portando verso una trasformazione della preparazione per adeguarla ai nuovi palati. Ma la torta scema non è la classica torta di riso salata. E’ proprio l’assemblaggio morbido, bianco e un po’ colloso a determinare la sua caratterizzazione. Lunga vita anche a lei.
Fra i prodotti da forno della Val di Magra va aggiunta la Scherpada di Ponzano Superiore. Piccola, rotonda, è una tortina dal gusto straordinario: contiene erbe raccolte dalle donne ponzanesi e abbinate a bietole, zucca gialla e porri. La scherpada viene cotta sui testi di ferro e il ripieno - senza uovo - è condito con un velo di formaggio di mucca associato a pecorino e messo tra due dischi (farina, acqua e sale) di venti centimetri di diametro.
In omaggio alla cultura del maiale, nella piana della Val di Magra un giovane norcino produce la Prosciutta di Castelnuovo. Nel mare di prosciutti italiani ben si addice l’attribuzione di un nome al femminile per un prodotto di piccola scala che ha una sua personalità e nasce accarezzato ogni giorno con un mix di erbe profumate del nostro territorio.
Ultime nella elencazione alcune verdure meravigliose, che sono per ora in sottoluce non si sa bene perché: il Cavolo nero spezzino, lo Zucchino ad alberello di Sarzana, la Lattuga moretta di Sarzana. Anche queste “riaffiorate” dagli orti-giardini in cui coraggiosi contadini-custodi (che ne hanno conservato i semi ritrovati presso vecchi coltivatori) le curano con tanto amore. La Lattuga moretta di Sarzana viene “esportata” nell’Alto Piemonte dove piace perché “scrocchia”, ma proprio per questa sua caratteristica ha rischiato l’estinzione.
Gabriella Molli.