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Bene i sequestri, ma l'alimentare non è abbastanza garantito in Italia.

di Alberto Lupini

26/02/2009

Nella foto tratta dal sito www.lucaturi.it  un momento del sequestro dei prodotti alimentari avariati.

Bene i sequestri, ma l'alimentare non è abbastanza garantito in Italia
La coincidenza è più che preoccupante. In Italia aumentano i sequestri di prodotti alimentari avariati o taroccati (al punto che “Italia a Tavola” ha avviato la pubblicazione di un apposito calendario mensile sulla rivista), ma le aziende pubbliche e private che somministrano cibo (soprattutto nella ristorazione collettiva) stanno ridimensionando in modo consistente i tecnici che si dovrebbero occupare del controllo di qualità quali garanti della sicurezza alimentare. A denunciare il comportamento delle aziende del settore - proprio il giorno in cui l’industria agroalimentare italiana lancia qualche timido segnale di speranza rispetto alla crisi - è il consiglio dell’Ordine dei tecnologi alimentari di Lombardia e Liguria.

Secondo i professionisti del settore sarebbe in atto un ridimensionamento degli organici dei tecnologi alimentari nella filiera agroalimentare. Nell’interesse nazionale, visto anche il saldo positivo della nostra bilancia commerciale, è invece indispensabile che l’Italia si doti di adeguati presidi per garantire la qualità totale dei prodotti. A forza di primati nei sequestri potrebbe anche passare l’idea che, se continuiamo a trovare merci taroccate e adulterate, ce ne potrebbero essere anche molte di più in circolazione…

Il dato di fatto è che per garantire la salubrità dei prodotti posti in vendita e serviti in tavola non ci si può basare solo sulla meritoria opera dei Nas e delle varie forze dell’Ordine, coordinate con grande efficacia dal ministero dell’Agricoltura. È assolutamente indispensabile che le aziende del settore alimentare abbiano nei propri organici figure professionali che possano garantire e preservare la salute dei consumatori, nonché la qualità e l’immagine del Made in Italy nel mondo. La promozione dell’enogastronomia non può certo contare solo sulla pur importante tutela ricevuta dall’essere diventata un Bene culturale da proteggere.

Garantire la sicurezza alimentare, anche con professionisti imposti per legge nelle aziende al di sopra di una certa dimensione, potrebbe essere un modo per qualificarci sul mercato. Anche all’estero, dove i nostri veri ambasciatori sono solo i ristoratori italiani, che senza aiuto tengono alta la bandiera della nostra Cultura in Cucina e dei nostri prodotti. Anzi, meno male che nessuno li aiuta in questo momento. Sarebbe infatti una vera sciocchezza se qualcuno riprendesse la proposta di Bartolo Ciccardini di recuperare un fallimento come le insegne di “ristorante italiano”. Un’operazione già abortita in passato per la stupidità di base di pensare di poter garantire locali in giro per il mondo, quando non siamo nemmeno in grado di farlo in Italia. E ha ben ragione Mario Caramella, presidente del Gvci (Gruppo virtuale cuochi italiani all’estero) nel ricordare che «la ristorazione italiana all’estero è in buonissima salute e ha fatto passi da gigante entrando nei concept delle migliori catene alberghiere e dando spazio ai cuochi italiani professionisti che si stanno facendo onore all’estero, senza il bisogno di avere una targa inutile appesa al muro. Se il Governo italiano ritiene utile investire tempo e denaro per promuovere e difendere la cucina italiana all’estero le strade da prendere secondo noi sono altre!». E fra queste, aggiungiamo noi, quella di garantire sul serio all’origine i nostri prodotti, che possono poi essere utilizzati nei ristoranti di tutto il mondo.

Alberto Lupini

alberto.lupini@italiaatavola.net
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