Chiacchierando di gusto

Fra tartufi strapagati e Kebab. Ma la ristorazione vera dov’č?

di Alberto Lupini

26/02/2009

Fra tartufi strapagati e Kebab.
Ma la ristorazione vera dov’è?
In tempi di crisi è inevitabile che ogni ragionamento tenda ad estremizzarsi. E ciò vale anche per il mondo della ristorazione, che non a caso in questi giorni sembra attraversato da due “pensieri forti” che riguardano due mondi agli antipodi fra loro: è giusto vietare l’attività dei Kebab nei centri storici? È lecito il conto di 4mila euro presentato per una cena a base di tartufi? Sul piano della cronaca abbiamo giornalmente seguito queste vicende e abbiamo anche già espresso il nostro pensiero: una sciocchezza per evitare di affrontare il problema dei controlli, per la prima, e una rinuncia al ruolo di artigiano-artista per limitarsi a fare il commerciante guadagnando su una materia prima invece che su una qualificante trasformazione di prodotto, per la seconda.

Come spesso succede in Italia, il dibattito si infiamma però proprio sugli eccessi, dimenticando purtroppo la sostanza dei problemi. Che ci siano tre kebab in più o in meno nelle nostre città non può fare la differenza per la Cucina italiana che ha ben altre sfide che non quella della cucina etnica. A proposito, perché il problema non è stato affrontato anche per i troppi, e improvvisati, ristoranti di Sushi dove si serve pesce crudo che è alquanto improbabile pensare di mangiare in Giappone? Eppure non è che i cartelli pubblicitari di tartare di pesce siano esteticamente migliori di quelli delle fette di montone spiedate. O che le garanzie igienico-sanitarie siano così diverse fra i due locali. Alla fine il problema è solo quello dei controlli (troppo rari) e dei regolamenti per gli arredi e le insegne nei centri storici (spesso carenti o inefficaci).
Dire "no al kebab" sembra un po' troppo simile al no autarchico all'ananas. Il rischio è di rovinare l'immagine dei prodotti italiani piuttosto che tutelare realmente la salute degli italiani o salvaguardare i borghi storici delle città. E per fortuna la tutela della Ristorazione italiana non passa solo attraverso provvedimenti tipo quello del Comune di Lucca, come ben dimostra la decisione del ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, di elevare la cucina a rango di bene culturale da tutelare a livello di eccellenze.

Il problema è però capire cosa si intende per eccellenze. Spesso queste non corrispondono infatti alle graduatorie fissate dai critici del settore. Ne è un esempio proprio la vicenda di Carlo Cracco, certamente un grande cuoco, che forse non ha considerato il danno di immagine che ha causato a una categoria che oggi più che mai deve fare i fronti con i morsi della crisi e con la tendenza a una graduale riduzione dei prezzi (vedi il sondaggio di Italia a Tavola e Consultazienda).
Non vogliamo certo rifarci a categorie morali per sottolineare la poca saggezza di rincarare a quel livello del tartufo, peraltro già caro di suo. Ci chiediamo però se sia davvero opportuno fare questo invece che dare il giusto valore a piatti preparati con abilità e ricerca. Sarebbe poi interessante chiarire se il prezzo finale era ben chiaro. Se era scritto nel menu (cosa che non succede quasi mai visto che il tartufo continua a essere acquistato in nero…) la contestazione del cliente è stata davvero fuori luogo. Ma se così non fosse, c’è da fare qualche riflessione seria sulla trasparenza e il rigore necessari in sala, oltre che in cucina…

In ogni caso non ci interessa quasi per nulla l’esito della querelle sulla cena di Cracco. Ci piacerebbe partecipare a una discussione in cui la valutazione sull’entità del prezzo pagato riguarda la qualità dei piatti e del servizio, non di un pezzo di tubero o di formaggio. L’eccellenza della Cucina italiana sta nel valorizzare le materie prime di qualità del Paese (fra cui ovviamente anche il tartufo), non nel limitarsi a fare il venditore-gioielliere di questi beni. Purtroppo alcuni cuochi, dopo un po’ che stanno sotto i riflettori, sembrano perdere di vista la loro funzione e si trasformano in commercianti e promotori, oppure si inventano di giocare al piccolo chimico o al piccolo fisico, mettendosi magari in competizione fra loro o con colleghi stranieri che non dispongono dei nostri giacimenti alimentari. Basta vedere alcune cadute di stile anche all’ultima edizione di Identità Golose. Questa non ci sembra la strada giusta per la Cucina italiana che deve trovare nuova forza e vitalità nei suoi valori e nella tradizione. Tanto più che questo incontra il gusto del mercato.

Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.net
www.italiaatavola.net