Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae
Direttore Responsabile
Angelo Concas
11/03/2009
Export vinicolo italiano 2008. Si chiude un anno difficile -7% in volume e +2% in valore.
Andrea Sartori: “Se guardiamo il contesto internazionale e quello che è accaduto ai nostri vicini di casa francesi oppure agli australiani, non possiamo certo lamentarci”.
Si chiude un anno difficile per il vino italiano sui mercati internazionali. Come era ampiamente prevedibile, visto l’andamento al ralenti intrapreso sin da gennaio e registrato dall’Istat, il 2008 chiude con il segno meno sul fronte export, a 17,8 milioni di ettolitri, per una variazione negativa del 7%. In leggera crescita invece i valori, saliti del 2% a 3,6 miliardi di euro.
Male il segmento dello sfuso, precipitato del 16% a volume, mentre l’imbottigliato contiene il calo a -4% per un fatturato stabile a 2,8 miliardi. Segni meno in questo segmento sia per i vini da tavola (bianchi -4% e rossi -10%) sia per i Doc-Docg (bianchi -4%, rossi -8%). In gran spolvero il comparto spumanti, che archivia l’ennesimo anno di grazia, con aumenti in volume del 15%, a 1,4 milioni di ettolitri, e valori su dell’11%, a poco meno di mezzo miliardo.
È soprattutto l’Unione europea il mercato su cui soffriamo di più: in un anno il saldo è negativo per il 10% a volumi, mentre i Paesi terzi tengono, con un +2%. In Europa stentano la Germania, il primo acquirente di vini italiani a volume, che con i 5,6 milioni di ettolitri importati nei 12 mesi segna un calo del 10%, la Francia (-27%), l’Austria (-25%), la Danimarca (-6%). Stabile a volumi il Regno Unito (-1%), seconda piazza per il nostro vino, mentre soffrono gli Stati Uniti, terzo mercato a volume (-2%) e primo a valore con quasi 800 milioni di euro di fatturato (-4%).
Fra gli altri grandi acquirenti, stabile a volumi la Svizzera (-1%), in leggera ripresa il Canada (+2%) e a doppia velocità la performance della Repubblica Ceca, che a un calo in volume del 3% affianca una crescita a valori del 13%.
Sui mercati di “seconda fascia”, invece, volano le performance della Russia (+36% a volume e +12% a valore), che si attesta come 12° piazza per il nostro vino; bene il Giappone (+6%), la Polonia (+10%), Svezia e Norvegia, mentre in grossa sofferenza sono l’Ungheria, che ha praticamente dimezzato gli acquisti, e la Slovacchia (un terzo).
A un Brasile in calo del 2% da contraltare un Messico in piena espansione (+34%), mentre sul mercato asiatico, a Cina e Corea che “prendono fiato” (+1% e -1%) e a un’India in crisi (-17%) fanno da contrappeso le spettacolari performance registrate sulle piazze di Hong Kong (+29%) e Singapore (+17%). Segnaliamo infine la crescita esplosiva registrata sul mercato degli Emirati Arabi, con volumi aumentati del 50% e valori più che raddoppiati.
“Chiudiamo un anno difficile – spiega Andrea Sartori, presidente di Unione Italiana Vini – in cui comunque il nostro prodotto ha tenuto le posizioni guadagnate in passato. Se guardiamo il contesto internazionale e quello che è accaduto ai nostri vicini di casa francesi, specialmente negli Usa e in particolare con lo Champagne, oppure agli australiani, che per la prima volta in 15 anni hanno dovuto mettere il segno meno sui loro bilanci, non possiamo assolutamente lamentarci.
Certo, è anche vero che quelli che vengono definiti a torto come ‘nuovi competitor’, ovvero Stati Uniti, Argentina, Cile e Sudafrica, hanno approfittato di questo anno di transizione per erodere quote di mercato ai produttori europei. La sfida per quest’anno e per i prossimi, se la crisi non darà
segni di cedimento, sarà quella di essere sempre più competitivi, alzando la qualità media dei nostri prodotti e soprattutto comunicando di più e meglio le valenze del vino italiano. I fondi messi a disposizione dalla nuova Ocm per la promozione del nostro vino - conclude Sartori - sono un’occasione unica, che non va sprecata in mille iniziative particolari e a volte concorrenziali tra loro. Forse sarà proprio la crisi a renderci per una volta più uniti in nome di un obiettivo comune, ovvero la salvaguardia di un prodotto che pur in un anno difficile è l’unico nel panorama dell’agroalimentare italiano a segnare un saldo import-export fortemente in attivo (+3,3 miliardi di euro)”.